La revisione esegetica dei meccanismi codicistici a presidio dei requisiti costituzionali del giusto processo

L’epocale riforma dell’art 111 della Costituzione, realizzata con l’introduzione del principio del giusto processo da parte della legge costituzionale 2/1999, ha reso necessario un grande sforzo(del legislatore oltre che degli interpreti) per adeguare le norme preesistenti in modo da evitare che vi fossero contrasti con il diritto al giusto processo.

Questa revisione, tuttavia, non appare ancora completa: basti pensare al fatto che la prova, le sanzioni processuali e il meccanismo delle impugnazioni, non hanno subito trasformazioni paragonabili a quelle attuate in materia di giudizio di primo grado, indagine preliminare ecc.

 

La successione delle norme procedurali nel tempo: tempus regit actum

Il tema della successione delle norme nel tempo, è stato affrontato a più riprese dalla giurisprudenza, la quale ha fornito interpretazioni diverse a seconda delle norme di volta in volta considerate. Di norma il problema della successione temporale delle norme, viene risolto applicando il principio latino del tempus regit actum (tradotto letteralmente il tempo regge l’atto): esso sta a indicare che deve essere applicata la normativa vigente al momento dell’adozione del provvedimento.

A questo punto è possibile esaminare i diversi interventi della giurisprudenza:

 

1.In materia di prove la Corte di Cassazione, con una sentenza pronunciata a sezioni unite nel 1997, ha precisato che: “il principio del tempus regit actum deve essere riferito al momento della decisione e non a quello dell’acquisizione della prova”. Con questa formula la Cassazione ha voluto precisare che il regime normativo da prendere in considerazione non è quello vigente nel momento in cui la prova viene acquisita, bensì quello esistente nel momento in cui interviene la Se ne deduce che la regola generale per norme di procedura penale, è la loro applicazione retroattiva fin quanto non interviene una decisione.

 

2.Una disciplina diversa è prevista per norme in materia di libertà personale: in questo caso si segue un approccio più garantisca, stabilendo la non retroattività delle norme sulla liberta personale (una disciplina che era già prevista nel Codice Rocco ed è stata ribadita con vigore dal codice attuale e dalla Corte Costituzionale).

Tale conclusione è in contrasto con il principio per cui l’irretroattività dovrebbe riguardare solamente le norme penali d. primarie (o sostanziali) e non le norme processuali. La Corte Costituzionale, tuttavia, ha preferito considerare le norme in materia di libertà personale come delle norme aventi natura sostanziale, dal momento che il loro utilizzo incide fortemente sui soggetti che ne vengono colpiti.

 

3.Infine per quanto concerne le norme sulla competenza del giudice: da lungo tempo la Corte Costituzionale ha legittimato l’applicazione retroattiva di tutte le norme che statuivano in detta materia “in via generale”. L’attività del giudice dibattimentale incompetente non si esaurisce, però nella sola acquisizione di prove: si estrinseca, invece, in atti tipici necessari alla progressione del processoe in atti eventuali, ma ugualmente fondamentali.

Almeno tutti questi atti, così come le prove dichiarative «ripetibili», devono dunque essere rinnovati dal Tribunale («divenuto» competente soltanto a partire dal 2.2010) in quanto radicalmente nulli siccome posti in essere in dichiarato difetto, sino alla data indicata, di competenza per materia. Nella c.d. Riforma Orlando scarseggiano le disposizioni di coordinamento e quelle transitorie, così determinando il rischio concreto che sorgano poco utili disorientamenti applicativi.

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