Il contratto a termine può essere prorogato, a condizione che il rapporto, inizialmente, avesse una durata inferiore a tre anni. La proroga è ammessa una sola volta, e a condizione che sia giustificata da ragioni oggettive (che devono essere provate dal datore di lavoro), riferite alla stessa attività lavorativa per la quale era stato stipulato il contratto a termine. In ogni caso, per effetto della proroga il rapporto non può durare complessivamente più di tre anni.

Bisogna prestare attenzione al fatto che la legge contempla l’ipotesi del contratto a termine non superiore a tre anni solo al fine dell’ eventuale proroga, non certo in considerazione della durata massima del rapporto. Ciò significa che nessuna norma vieta esplicitamente l’apposizione di un termine superiore a tre anni. Tuttavia, in concreto, si deve osservare che ben difficilmente si potrebbe ipotizzare una valida ragione giustificatrice che legittimi un termine così a lunga scadenza, se si pensa – come già si è detto – che la ragione giustificatrice deve comunque essere transitoria.

Del resto, la stessa legge – come si è appena visto – dispone che, anche in caso di proroga, il termine non possa eccedere la durata dei tre anni: si vede quindi che lo stesso legislatore, se non vieta esplicitamente l’apposizione di un termine di durata superiore a tre anni, vede con estremo disfavore una simile ipotesi.

L’art. 4, co. 2°, addossa al datore l’onere della prova dell’obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano la proroga del termine. Pertanto l’effetto sanzionatorio della cosiddetta conversione opera ex nunc, cioè dal momento successivo alla scadenza pattuita dalle parti.

Distinta dalla proroga è l’ipotesi, prevista dall’art. 5, co. 1°, della continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato.

La continuazione del rapporto dopo la scadenza del termine non comporta di per sé la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Infatti, in caso di continuazione del rapporto dopo la scadenza, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, in misura del venti per cento, per ogni giorno di prosecuzione del rapporto fino al decimo; per ogni giorno ulteriore la maggiorazione è fissata nella misura del quaranta per cento. La trasformazione del rapporto a tempo indeterminato si verifica solo nel caso di continuazione del rapporto oltre il ventesimo giorno, se il contratto aveva una durata inferiore a sei mesi, ovvero negli altri casi oltre il trentesimo giorno.

In questo modo la validità del contratto viene conservata per un tempo predeterminato (c.d. periodo di tolleranza) assimilabile ad una tacita proroga breve giustificata da una immediata esigenza della continuità dell’attività lavorativa e perciò diversa dalla classica proroga ordinaria.

La L. 24 dicembre 2007, n. 247 ha modificato l’art. 5, D. Lgs. n. 368 del 2001, inserendo i commi da 4 bis a 4 sexies.

La prima delle modifiche riguarda la successione di più contratti a termine con lo stesso lavoratore: il nuovo co. 4 bis ha stabilito che il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato quando, per effetto della successione di più contratti a termine, il rapporto di lavoro superi i 36 mesi, comprensivi di proro¬ghe e rinnovi, per lo svolgimento di mansioni equivalenti. Il calcolo dei 36 mesi è riferito alla somma dei periodi relativi ai diversi rapporti di lavoro a termine e prescinde dal periodo temporale tra l’inizio del primo rapporto e la conclusione dell’ultimo (non si computano, cioè, i periodi di interruzione compresi tra un contratto e l’altro), con la conseguenza che il limite dei 36 mesi ha rilievo – nei rapporti tra un’impresa ed un lavoratore – anche dopo numerosi anni.

La sanzione della conversione opera ex nunc, cioè a partire dal primo giorno successivo ai 36 mesi.

È contemplata, tuttavia, un’ipotesi di c.d. derogabilità assistita al limite temporale dei 36 mesi: dopo il superamento di questa soglia è possibile stipulare un solo ulteriore contratto a termine dinanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro, competente per territorio, con l’assistenza di un rappresentante di una delle or-ganizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. La legge ha ritenuto che questa procedura metta il lavoratore al riparo da eventuali comportamenti fraudolenti o elusivi da parte del datore di lavoro e per quanto riguarda la durata massima del nuovo contratto, la legge rimanda ad “avvisi comuni” adottati dalle parti sociali.

Sono escluse da questa disciplina limitativa le attività stagionali e le attività che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

Un’ulteriore ipotesi di esclusione dal limite temporale è relativa ai dirigenti, ai quali continua a non applicarsi la disciplina sul contratto a termine, ad esclusione del principio di non discriminazione e della computabilità nell’organico aziendale qualora la durata del loro rapporto di lavoro supera i nove mesi.

Il limite dei 36 mesi non si applica neppure ai contratti di somministrazione a tempo determinato, ai contratti di apprendistato ed in generale a quelli con finalità formative.

La modifica dell’art. 5 del D. Lgs. n. 368 ha riguardato anche il diritto di precedenza dei lavoratori a tempo determinato: il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine (co. 4 quater). Il diritto di precedenza è stato esteso (co. 4 quinquies) anche ai lavoratori a termine per lo per lo svolgimento di attività stagionali rispetto a nuove assunzioni per le medesime attività stagionali (ma questo specifico diritto di precedenza è stato successivamente reso derogabile da parte di contratti collettivi nazionali, territoriali o provinciali dall’art. 21, co. 3 della L. 6 agosto 2008, n. 133).

Per esercitare il diritto di precedenza il lavoratore deve manifestare la sua volontà entro il termine di 6 mesi dalla cessazione del rapporto nel caso di assunzioni a tempo indeterminato, e di 3 mesi nel caso di attività stagionali.

Sempre nella prospettiva di tutelare la stabilità dei rapporti di lavoro è stato soppresso il co. 8 dell’art. 10 del D. Lgs. n. 368 che escludeva dal c.d. contingentamento da parte dell’autonomia collettiva i rapporti di lavoro di durata non superiore a sette mesi e le punte periodiche di lavoro.

L’art. 1, co. 39, L. n. 247 ha modificato anche l’art. 1 del D. Lgs. n. 368, premettendo che «il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato». A breve lasso di tempo, tuttavia, si è assistito ad un nuovo intervento del legislatore, il quale, con l’art. 21, co. 1°, L. 6 agosto 2008, n. 133, ha modificato l’art. 1, D. Lgs. n. 368, prevedendo che le ricordate ragioni giustificative dell’apposizione del termine possono essere riferibili anche «alla ordinaria attività del datore di lavoro». Come si può ben vedere, questa ulteriore modifica solleva non pochi dubbi interpretativi, esprimendo, rispetto a quella introdotta solo un anno prima, un indirizzo politico-programmatico, per certi versi diametralmente opposto.

Infine va detto che la L. n. 133 del 2008 ha introdotto (art. 21, co. 1 bis) nel D. Lgs. n. 368 del 2001 un nuovo art. 4 bis, il quale – con una norma derogatoria di carattere transitorio – ha disposto che, con riferimento esclusivo ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4 del medesimo D. Lgs. n. 368, il datore di lavoro sia tenuto solo ad una sanzione risarcitoria consistente un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8, legge 15 luglio 1966, n. 604.

Appare evidente il contrasto di questa disposizione con l’art. 3, co. 1, Cost., in materia di parità di trattamento legislativo, proprio perché la disposizione derogatoria del regime sanzionatorio è limitata ai giudizi in corso, al di fuori di alcun criterio di ragionevolezza. Ed in effetti numerosi magistrati hanno sollevato la questione di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale (allo stato non ancora decisa).

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento