L’interrogatorio nel merito, al pari dell’interrogatorio preliminare, può essere suddiviso in diverse sottofasi.

La fase di merito prende avvio con la contestazione delle accuse mosse contro l’indagato (articolo 65 comma 1 del c.p.p.). La contestazione dell’addebito (questa è la nozione utilizzata giuridicamente per descrivere la contestazione delle accuse) si qualifica come una forma di imputazione preliminare, con cui l’indagato viene informato delle accuse mosse contro di lui. Si tratta, in ogni caso, di un addebito provvisorio: l’addebito definitivo si realizzerà con l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.

Per quanto riguarda le modalità con cui deve essere contestato l’addebito: l’articolo 65 del c.p.p. al 1° comma dispone che:“L’autorità procedente deve contestare all’interrogato, in forma chiara e precisa, il fatto che gli è attribuito, rende noti gli elementi di prova a suo carico, nonché le fonti, sempre che ciò non pregiudichi lo svolgimento delle indagini”. Per comprendere la portata di questa norma è utile esaminarne le singole parti:

Quando si dice che: “L’autorità deve contestare all’interrogato, in forma chiara e precisa, il fatto che gli è attribuito”, ciò sta a significare che l’autorità procedente non può limitarsi ad elencare le accuse mosse contro l’indagato, dovendo altresì fornire i dati raccolti fino a quel momento e descrivere il fatto- reato sotto ogni aspetto.

L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo impone, inoltre, il diritto dell’interrogato a essere informato nella lingua da lui compresa e in modo dettagliato.

Quando si parla “degli elementi di prova a suo carico e delle fonti, sempre che ciò non pregiudichi lo svolgimento delle indagini”: il legislatore ha voluto precisare che l’interrogato ha diritto a venire a conoscenza delle prove esistenti contro di lui e delle fonti da cui provengono queste prove, sempre che non sussistano fondati motivi per non svelare le prove (ad es. la possibilità che l’interrogato, venuto a conoscenza di un testimone a carico, decisa di operare delle pressioni nei suoi confronti per indurlo a non testimoniare). L’autorità procedente dovrà contestare l’addebito all’apertura della fase di merito dell’interrogatorio, anche quando in precedenza l’indagato aveva già dichiarato di avvalersi della facoltà di non rispondere (di cui al paragrafo precedente).

L’omessa contestazione dell’addebito, l’errata contestazione o semplicemente la mancata indicazione degli elementi costituitivi del reato o delle fonti di prova, comporta la nullità dell’interrogatorio.

 

L’interrogatorio nel merito

Una volta contestato l’addebito, all’interrogato sarà riconosciuto il diritto di parlare ex articolo 65 comma 2 del c.p.p., così da permettergli di esporre “quanto ritiene utile per la sua difesa”. Questo diritto permette all’indagato non solo di discolparsi ma soprattutto di fornire nuovi fatti e circostanze a proprio favore, su cui poi il pubblico ministero dovrà svolgere adeguate indagini.

Una volta che l’interrogato ha esercitato il suo diritto all’autodifesa, l’autorità procedente comincerà l’interrogatorio vero e proprio.

L’interrogatorio dell’indagato deve essere documentato all’interno di un verbale, nel quale deve farsi espresso riferimento all’eventuale rifiuto di rispondere manifestato dall’interrogato.

Nel verbale possono, inoltre, essere indicate le caratteristiche fisiche dell’indagato e le caratteristiche linguistiche. Per gli interrogatori compiuti fuori dall’udienza nei confronti di indagati che si trovano in stato di detenzione, il verbale sarà redatto mediante riproduzione fonografica o audiovisiva.

A conclusione di quest’esame dell’interrogatorio, occorre ricordare che solamente l’interrogatorio e gli istituti analoghi (come l’esame dibattimentale o le dichiarazioni spontanee) sono strumenti idonei a introdurre nel processo le conoscenze dell’accusato. Per garantire ciò la legge ha previsto una serie di divieti. Il divieto, ex art. 62 del c.p.p., che le dichiarazioni rese dall’imputato nel corso del procedimento, vadano a formare oggetto di testimonianza.

L’inammissibilità della testimonianza resa da membri della polizia giudiziaria che, agendo sotto copertura, hanno svolto dei colloqui con soggetti indagati (mantenendo segreta la propria identità). Ammettere tale testimonianza significherebbe legittimare una sorta di interrogatorio mascherato.

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