I rimedi contro i provvedimenti applicativi delle misure cautelari sono anzitutto riconducibili ai vari istituti appartenenti alla sfera delle impugnazioni. È prevista la riesaminabilità anche nel merito del provvedimento che decide sulla misura di coercizione dinanzi al tribunale in camera di consiglio, con garanzia del contraddittorio e ricorribilità per cassazione, ed attorno ad essa si sforza di costruire un sistema organico, imperniato sui mezzi del riesame, dell’appello e del ricorso per cassazione. Per tutti questi mezzi deve richiamarsi il principio generale fissato dall’art. 588 comma, per cui le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno in alcun caso effetto sospensivo.

Il riesame nel merito è configurato dall’art. 309 come utilizzabile esclusivamente avverso le ordinanze che abbiano disposto una misura coercitiva, salvo che si tratti di ordinanze emesse dietro appello proposto dal pm ai sensi del successivo art. 310. L’art. 309 attribuisce la titolarità del diritto al riesame soltanto all’imputato, accanto al quale risulta esplicitamente menzionato anche il difensore, salva la previsione per l’uno o per l’altro di un diverso regime di decorrenza del termine di 10 giorni fissato per la proposizione della relativa richiesta, a norma dei primi 3 commi del medesimo art. 309.

In forza del successivo comma 3-bis viene precisato che dal computo del suddetto termine devono escludersi i giorni per i quali sia stato disposto ex art. 104 comma 3 il differimento del colloquio tra il difensore e l’imputato detenuto. La competenza a decidere sulla richiesta di riesame risulta individuata non più su base provinciale, bensì con riferimento al tribunale in composizione collegiale del capoluogo del distretto di corte d’appello in cui ha sede l’ufficio del giudice che abbia emesso l’ordinanza impugnata, per quanto concerne le concrete modalità dell’iniziativa si stabilisce che la medesima richiesta debba venire direttamente proposta alla cancelleria di quel tribunale nell’osservanza delle forme stabilite dagli artt. 582 e 583.

Presentata la richiesta di riesame, l’autorità giudiziaria procedente dovrà trasmettere al medesimo tribunale gli atti correlativi entro il giorno successivo a quello dell’avviso, e comunque non oltre il quinto giorno. Quest’ultimo termine deve ritenersi decorrente già dal giorno stesso della presentazione della richiesta di riesame. Gli atti da trasmettersi al tribunale entro il termine in questione sono quelli già presentati dal pm al giudice in vista della adozione del provvedimento a norma dell’art. 291.

Insieme a questi devono trasmettersi anche tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini. Tale trasmissione riguarderà dunque tutti gli elementi acquisiti dal pm successivamente alla richiesta di riesame, ovvero pervenutigli in virtù dell’attività investigativa del difensore sempre nel corso delle indagini preliminari.

Per quanto attiene al contenuto della richiesta di riesame, essa può recare contestualmente l’enunciazione di motivi anche nuovi. Tra questi motivi devono ritenersi sempre compresi anche quelli diretti a contestare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Il tribunale emette la sua decisione nel termine di 10 giorni dalla ricezione degli atti. Dovrà provvedere in camera di consiglio. Il comma 8 dell’art. 309 prevede che gli atti trasmessi al debbano rimanere depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarre copia.

Il rispetto del termine di 10 giorni è sottolineato dal comma 10 dell’art. 309, che dispone in caso di mancata pronuncia caducazione della misura (trattasi di ipotesi di estinzione automatica).

Altra ipotesi di caducazione automatica è quella che si verifica in caso di mancata trasmissione degli atti al tribunale nel termine di 5 giorni.

L’art. 309 comma 9 definisce la tipologia dei provvedimenti adottabili dal tribunale stesso   (declaratoria   di   inammissibilità   della   richiesta:   annullamento,   riforma   o conferma dell’ordinanza sottoposta a riesame, cui bisogna aggiungere la revoca) e precisa che la decisione potrà tener conto anche degli ulteriori elementi adottati dalle parti nel corso dell’udienza. Si attribuisce poi al tribunale il potere di provvedere anche nel merito. L’ordinanza può venire annullata ovvero riformulata in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati nella richiesta o successivamente ad essa. La medesima ordinanza può anche venire confermata anche sulla base di ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione.

Il quadro normativo è stato modificato dall’introduzione di un nuovo criterio decisorio nell’art. 425 comma 3, stabilendo che la sentenza di non luogo a procedere debba essere pronunciata anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti o contraddittori.

 

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