La forma dei provvedimenti

L’articolo 125 del c.p.p. riserva alla legge il compito di stabilire quando il giudice adotta sentenza, ordinanza o decreto.

Per quanto riguarda la sentenza l’articolo 125 indica due requisiti di cui essa deve essere pronunciata in nome del popolo italiano (dal momento che l’articolo 101 comma 1 della Costituzione dispone che “la giustizia è amministrata in nome del popolo italiano”) e deve essere motivata a pena di nullità (dato che l’articolo 111 comma 6 della Costituzione dispone che: “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”).

È possibile distinguere diverse tipologie di sentenze a seconda della funzione per cui sono adottate: ad es. è possibile distinguere le sentenze dibattimentali dalle sentenze di non luogo a procedere (in quanto le prime sono adottate al termine del dibattimento, le seconde al termine dell’udienza preliminare);

Le sentenze di merito dalle sentenze di rito (dato che le prime conducono ad una condanna o ad un’assoluzione, le seconde si occupano di questioni procedurali); le sentenze costitutive dalle sentenze dichiarative (le prime producono effetti giuridici innovativi, le seconde accertano semplicemente un fatto) ecc.

L’ordinanza presenta un unico requisito, che venga motivata a pena di nullità. Al pari della sentenza, inoltre, l’ordinanza può essere adottata solamente dal giudice. Per tutto il resto l’ordinanza assume caratteristiche diverse, a seconda della funzione per cui viene adottata.

Il decreto: può essere adottato sia dal giudice sia dal pubblico ministero. Non è normalmente previsto un obbligo di motivazione (salvo che nelle ipotesi previste dalla legge). Il decreto ha tendenzialmente natura ordinatoria (serve a garantire la prosecuzione del giudizio) tuttavia esistono decreti con natura decisoria (si pensi al decreto di archiviazione o al decreto penale di condanna).

Per quanto riguarda le modalità con cui vengono deliberati i provvedimenti da parte dell’autorità giudiziaria, essi vengono adottati dal giudice in camera di consiglio (articolo 125 comma 4), senza la presenza delle parti e del giudice ausiliario e con deliberazione segreta. La segretezza della deliberazione non può essere derogata.

Una volta deliberati i provvedimenti questi debbono, ex articolo 128 c.p.p., essere depositati presso la cancelleria entro 5 giorni (questa regola non si applica ai provvedimenti emessi nell’udienza preliminare e nel dibattimento, del cui dispositivo viene data lettura in udienza).

 

Il procedimento in camera di consiglio

L’articolo 127 del c.p.p. si occupa del procedimento in camera di consiglio. Esso non deve essere confuso con l’espressione “camera di consiglio” di cui ci parla l’articolo 125 comma 4. Quest’ultimo, infatti, indica il luogo in cui il giudice si ritira per deliberare, cioè per adottare il provvedimento previsto dalla legge, sia esso una sentenza un’ordinanza o un decreto. L’articolo 127, al contrario, disciplina il procedimento camerale le cui caratteristiche sono la mancanza di pubblicità dell’udienza e quindi la mancata presenza del pubblico e la partecipazione eventuale, quindi non necessaria, delle parti.

Dalla lettura dell’articolo 127 comma 3 del c.p.p. è possibile distinguere quattro diversi modelli.

Un primo modello è caratterizzato da un contradditorio puramente eventuale, in cui la decisione di partecipare al procedimento è rimessa alla libera discrezionalità delle parti (si pensi ad es. al procedimento per la risoluzione dei conflitti di giurisdizione o di competenza).

In un secondo modello sono ricompresi i procedimenti camerali con contraddittorio necessario o per tutte le parti (ad esempio nell’incidente probatorio, nel giudizio abbreviato, nel procedimento di esecuzione, nel procedimento di sorveglianza) o per il solo difensore (si pensi all’udienza per la convalida dell’arresto o del fermo.

Un terzo modello è, poi, caratterizzato da un contradditorio cartolare: in cui il contradditorio è garantito dalla possibilità delle parti di interloquire fra di loro e con il giudice solo in forma scritta (si pensi, ad esempio, al procedimento camerale in Corte di cassazione; al procedimento per la proroga dei termini di durata delle indagini preliminari).

Un quarto modello, infine, + caratterizzato da un contradditorio totalmente assente (si parla di procedimenti camerali de plano): si tratta di un’ipotesi residuale, che non prevede né contraddittorio né particolari formalità da parte del giudice (si pensi al procedimento di esecuzione).

Per quanto riguarda il c.d. imputato in vinculis (cioè l’imputato detenuto o internato) dopo una serie di interventi della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, il diritto di partecipare all’udienza è stato riconosciuto sia al detenuto che si trova nella circoscrizione del giudice sia a quello che si trova al di fuori della sua circoscrizione (prima la partecipazione era ammessa solo al primo).

L’articolo 127 prevede, inoltre, un rinvio dell’udienza nel caso in cui l’imputato (compreso il detenuto/internato) abbia un legittimo impedimento che gli impedisce di prendere parte all’udienza. Tale legittimo impedimento, nonostante le obiezioni della dottrina, non giustificano l’assenza del difensore (che in base alla legge può opporre il legittimo impedimento solamente nell’udienza preliminare, nell’udienza dibattimentale ma non nell’udienza camerale).

L’assenza di pubblicità comporta che normalmente le attività compiute nell’udienza camerale, sono documentate mediante un verbale redatto in forma riassuntiva ex articolo 127 comma 10 del c.p.p. (salva la possibilità del giudice di optare per una documentazione integrale e non riassuntiva dell’udienza.

In ogni caso il procedimento camerale prende normalmente avvio su richiesta di parte. Detto procedimento inizia con la fissazione dell’udienza a cui le parti potranno partecipare. Inoltre entro 5 giorni dall’udienza è sempre ammesso il contradditorio cartolare (presentazione di memorie e di documenti).

Il procedimento si conclude (salvo ipotesi particolari) con l’adozione di un’ordinanza che deve essere notificata alle parti le quali potranno proporre ricorso in Cassazione. La proposizione del ricorso, come di consueto, non comporta la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza (salvo decreto motivato, adottato dal giudice che l’ha emessa, che dispone la sospensione).

 

L’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità

L’articolo 129 comma 1 del c.p.p. si occupa della declaratoria di cause di non punibilità stabilendo che:“Il giudice, in ogni stato e grado del processo, se riconosce a)che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso; b)che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato; c)che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità. Dichiarerà d’ufficio con sentenza la declaratoria”.

Le motivazione per cui la legge impone al giudice di disporre con sentenza la declaratoria, nelle ipotesi di cui sopra, sono essenzialmente due: l’economia processuale (si vuole evitare la prosecuzione di un processo superfluo); il favor rei (si vuole garantire una rapida uscita dal procedimento dell’imputato innocente o giudicato per un reato estinto o inesistente).

Per quanto riguarda la modalità di pronuncia del giudice, essa deve avvenire con sentenza e con garanzia di contraddittorio. Questo per evitare arbitrarie “amputazioni” del procedimento da parte del giudice ovvero discriminazioni ingiustificate, a danno degli altri soggetti interessati al procedimento.

 

La correzione dell’errore materiale

L’articolo 130 del c.p.p. disciplina la correzione degli errori materiali commessi dal giudice nell’adozione di un provvedimento. Detto articolo dispone che: “La correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti, inficiati da errori o da omissioni che non determinano la nullità e la cui eliminazione non comporta una modifica essenziale dell’atto, è compito del giudice che li ha adottati”.

Il compito di procedere alla correzione spetta, normalmente, al giudice che ha adottato il provvedimento. Un’eccezione è prevista nel caso in cui l’atto sia stato impugnato: in tal caso l’errore sarà corretto dal giudice competente per l’impugnazione (tranne che nell’ipotesi in cui l’impugnazione sia dichiarata inammissibile).

Dalla lettura della norma è, inoltre, possibile individuare i limiti entro i quali è possibile esercitare il potere di correzione di cui all’articolo 130.

La correzione può riguardare solamente le sentenze, le ordinanze e i decreti adottati dal giudice: non è possibile, invece, per gli atti del P.M. o per gli atti adottati oralmente dal giudice.

La correzione deve riguardare errori per i quali non è comminata la nullità: se ne conclude che la correzione è possibile solo quando l’errore (vizio) dell’atto comporta la sua irregolarità (e non la sua invalidità).

La correzione è possibile solamente se non va a modificare in modo essenziale l’atto: ciò significa che la correzione non deve incidere sul significato sostanziale dell’atto.

La l. 103 del 2017 ha introdotto nell’art. 130 co. 1 bis il potere del giudice, in caso di errore di determinazione o di computo, di rettificare la specie e la quantità della pena contenuta in una sentenza di patteggiamento.

Da notare che il legislatore, a fianco alla disciplina generale della correzione (di cui all’articolo 130 del c.p.p.), ha previsto anche una serie di norme speciali regolamentati particolari ipotesi di correzione (si pensi alla correzione nell’indicazione delle generalità, alla correzione nell’indicazione dei motivi, al ricorso straordinario in Cassazione di cui all’articolo 625 bis del c.p.p. ecc.)

Per quanto riguarda le modalità con cui verrà realizzata la correzione: la legge rimette al giudice il compito di provvedervi, eventualmente su istanza del P.M. o delle parti private (istanza che non è necessaria dato che il giudice può procedere d’ufficio alla correzione). Il procedimento di correzione si svolgerà in Camera di Consiglio, ai sensi dell’articolo 127 del c.p.p, e si concluderà con un’ordinanza che potrà essere ricorsa in Cassazione dai soggetti interessati. L’ordinanza correttiva viene eseguita, annotandola in calce al provvedimento che viene emendato (corretto). Essa è ricorribile in Cassazione.

Il procedimento opera pure nel giudizio di cassazione e la Corte di cassazione provvede senza pronunciare annullamento in caso di semplice rettifica della pena. Essa in pratica rimedia de plano agli errori di diritto e alla erronea indicazione di testi di legge, privi di influenza decisiva sul dispositivo, nonchè gli errori concernenti la determinazione del computo della pena.

 

I poteri coercitivi del giudice e l’accompagnamento coattivo

L’articolo 131 del c.p.p. riconosce al giudice il potere di richiedere “L’intervento della polizia giudiziaria e, se è necessario, della forza pubblica in modo da garantire il sicuro e ordinato compimento degli atti processuali”.

L’intervento della polizia giudiziaria o della forza pubblica può essere richiesta dal giudice senza particolari formalità, quindi anche oralmente.

Fra i vari poteri coercitivi riconosciuti al giudice, particolarmente importante e il diritto di richiedere l’accompagnamento coattivo dell’imputato e delle altre persone che debbono partecipare al provvedimento.

Il legislatore ha dettato una disciplina differente a seconda del soggetto colpito dall’accompagnamento coattivo.

Nel caso dell’imputato (articolo 132 c.p.p.), l’accompagnamento, anche con la forza, è possibile indipendentemente dal tipo di reato (quindi anche per reati minori per i quali è vietata l’adozione di misure coercitive personali) quando l’imputato si rifiuta illegittimamente di prendere parte al procedimento.

Nel caso degli altri soggetti che devono prender parte al procedimento articolo 133 del c.p.p. (testimone, perito, consulente tecnico, custode di cose sequestrate), l’accompagnamento può essere disposto soltanto se i soggetti qui considerati, nonostante fossero stati citati o convocati regolarmente, non siano comparti nel luogo e nell’ora stabilita senza opporre un legittimo impedimento.

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