Il giudice valuta la legittimità e la fondatezza dell’accordo delle parti sulla base di tutti gli elementi contenuti nel fascicolo delle indagini, e quindi sulla base dell’eventuale documentazione delle investigazioni difensive. Dato che il giudice deve valutare se sia congrua la pena indicata , egli svolge un controllo di carattere sostanziale, non limitandosi ad esercitare una funzione meramente notarile di recepimento delle volontà delle parti.
In presenza di una concorde richiesta dell’imputato e del pubblico ministero, il giudice pronuncia una delle seguenti decisioni (art. 444 co. 2):
- se ritiene corrette la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparizione delle circostanze prospettate dalle parti e congrua la richiesta, dispone con sentenza l’applicazione della pena ed enuncia nel dispositivo che vi è stata richiesta delle parti;
- in caso contrario, rigetta con ordinanza la richiesta ed ordina di procedersi secondo il rito ordinario;
- se ritiene che, sulla base degli atti, l’imputato debba essere prosciolto, pronuncia di ufficio sentenza con una delle formule terminative previste dall’art. 129 perché riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità .
La richiesta di applicazione di pena formulata dall’imputato e non accolta dal pubblico ministero o dal giudice non può essere utilizzata nella motivazione di una successiva sentenza come argomento al fine di dimostrare la reità: il comportamento dell’imputato, infatti, è soltanto una rinuncia a difendersi e può essere fondato su motivi vari (es. evitare i costi e la pubblicità del dibattimento). Risulta quindi opportuno che al giudice sia sempre consentito di valutare la possibilità di prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 129, anche se è stato perfezionato un patteggiamento tra accusa e difesa.