La disciplina predisposta dal legislatore appare criticabile sotto molteplici profili:
- sul piano dei rapporti tra imputato accusato e imputato accusatore:
- per un verso è rimasto intatta l’incompatibilità a testimoniare che colpisce gli imputati in procedimenti connessi per concorso nel medesimo reato (art. 12 lett. a);
- per un altro verso il meccanismo predisposto dagli artt. 64 e 197 bisappare lesivo del diritto di difesa degli imputati in procedimenti connessi teleologicamente o collegati sotto due profili:
- tali soggetti perdono il diritto al silenzio sul fatto altrui in una sede non garantita dalla presenza del giudice (interrogatorio svolto dall’inquirente);
- la facoltà di tacere sui fatti oggetto del procedimento a proprio carico (art. 197 bis co. 4) appare una garanzia facciata: l’ambito applicativo del diritto al silenzio sul fatto proprio, infatti, è deciso di volta in volta dall’autorità procedente in relazione alla singola domanda;
- sul versante del diritto a confrontarsi con l’accusatore la disciplina appare deludente:
- l’attuazione di tale diritto è subordinata all’ampiezza con la quale viene riconosciuto al teste assistito il diritto al silenzio sul fatto proprio;
- anche se il diritto al silenzio fosse circoscritto al minimo indispensabile, è comunque inaccettabile che l’accusatore possa continuare a rendere dichiarazioni contro altri ed a tacere sul fatto proprio.
La disciplina in oggetto, in particolare, sacrifica entrambi i diritti contrapposti, senza trovare un bilanciamento convincente. La l. n. 63 del 2001, in sintesi, ha escluso drasticamente l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese prima del dibattimento, ma non ha al contempo garantito il diritto dell’accusato a confrontarsi con l’accusatore.
Ci possiamo chiedere a quale prezzo il Parlamento abbia garantito il diritto al silenzio del coimputato del medesimo reato (art. 12 lett. a). Ci pare che lo abbia garantito obbligando gli imputati collegati o connessi a deporre come testimoni. Come accennato, infatti, la formula dell’art. 64 co. 3 lett. c ha una latitudine amplissima: basta aver rese dichiarazioni su di un fatto che concerne la responsabilità di altri , non essendo richiesto un elemento soggettivo, ossia l’intento (dolo) o la consapevolezza (colpa) di portare prove contro un altro. Può quindi accadere che l’imputato renda dichiarazioni che induttivamente sono rilevanti per accertare un fatto dal quale deriva la responsabilità di una persona. Il coinvolgimento può essere assolutamente imprevedibile, perché la rilevanza accusatoria può essere causata anche da fatti scoperti successivamente.