Occorre a questo punto chiarire se il provvedimento che conclude il procedimento in camera di consiglio passi o meno in giudicato. La tutela sommaria e la tutela a cognizione piena non divergono sotto il profilo dell’efficacia del provvedimento, dato che in entrambi i casi si assiste al passaggio in giudicato formale dell’atto conclusivo del giudizio. Nel caso del provvedimento camerale, al contrario, non risulta chiaro quale sia la stabilità del provvedimento: mentre l’art. 742 prevede la revocabilità in ogni tempo del decreto, la giurisprudenza non reputa applicabile tale articolo, ritenendo invece che il provvedimento debba essere impugnabile in cassazione ex art. 111 Cost., e perciò suscettibile di passare in giudicato. Si ha quindi un’alternativa:

  • un procedimento deformalizzato che produce un provvedimento modificabile o revocabile in qualsiasi momento (art. 742);
  • un procedimento deformalizzato che produce un provvedimento non modificabile o revocabile ma suscettibile di essere impugnato anche in cassazione (giurisprudenza). La giurisprudenza, in particolare, distinguendo a seconda che il procedimento camerale porti a provvedimenti ordinatori (non rivolti a decidere controversie su diritti) o decisori, stabilisce che l’art. 742 si applica solo ai primi. Con riferimento ai secondi, al contrario, invoca l’art. 111 Cost. ( contro le sentenze è sempre ammesso il ricorso in Cassazione ) per poter impugnare il provvedimento fino in cassazione.

Il legislatore non prevede vere e proprie impugnazioni, ma soltanto un reclamo, anch’esso in camera di consiglio, e una decisione non ulteriormente impugnabile. Questa decisione è sempre modificabile e revocabile, salvi i diritti dei terzi di buona fede (art. 742). Se questo non comporta problemi in caso di gestione di interessi, diverso è il caso in cui si risolvano controversie su diritti. Se il legislatore ha optato per il rito camerale come contenitore neutro e se le Corti supreme hanno salvato tale scelta, basterebbe dire che il provvedimento è revocabile e modificabile (non passa in giudicato) per avere una tutela diversa da quella tradizionale, ma tale da non creare problemi di compatibilità con i principi generali: l’eventuale esistenza di una correlazione necessaria tra diritti soggettivi, processo a cognizione piena e giudicato, infatti, non esclude che, in essenza di giudicato, i diritti soggettivi possano essere trattati anche in un procedimento di natura sommaria. Questo potrebbe avere una logica se la giurisprudenza non richiamasse l’art. 111 Cost., stabilendo che il provvedimento conclusivo del processo camerale, dopo l’esperimento del reclamo, viene impugnato in cassazione e conseguentemente passa in giudicato, anche se questo si innesta su un corpo fragile, quale quello di un procedimento tratteggiato solo da sei norme e con garanzie processuali rimesse alla discrezionalità del giudice.

La soluzione che propone una dottrina minoritaria (Proto Pisani), invece di applicare o disapplicare l’art. 742 a seconda dei casi, applica sempre tale norma, dimenticando l’esistenza dell’art. 111 Cost.: il ricorso per cassazione, infatti, non basta a restituire alle parti un processo ricco in punto di garanzie, finendo per essere un rimedio peggiore del male, perché mette una specie di tappo ad un processo troppo deformalizzato per poter essere garantista. Questa dottrina, in particolare, consente alle parti di ridiscutere il contenuto di accertamento del provvedimento camerale in un processo a cognizione piena attivabile da chi subisce gli effetti esecutivi del provvedimento camerale. Se si paragona il provvedimento camerale ad un titolo esecutivo stragiudiziale e si consente un’opposizione all’esecuzione nella quale il presunto debitore possa ridiscutere di quanto è stato oggetto del provvedimento camerale, si hanno delle garanzia superiori già nell’iter che conduce alla formazione del titolo e non si perde niente in punto di tutela. Questo titolo esecutivo, in particolare, viene definito provvedimento sommario semplificato esecutivo , sommario e semplificato perché adottato al termine di un processo a cognizione sommaria ed esecutivo perché avente una valenza esecutiva, ma non l’efficacia del giudicato che hanno le sentenze.

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