Il giudice prima di trattare di una controversia deve porsi il quesito se sia o meno fornito di giurisdizione dato che il relativo difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. La risposta al quesito almeno per ciò che concerne il giudice civile non è valida in assoluto ma dipende dall’attuale ordinamento dato che questi può dirsi munito di giurisdizione quando la controversia non rientra nella sfera di giurisdizione del giudice penale e di quello amministrativo (la giurisdizione civile si ricava cioè in via residuale).

La giurisdizione ha dunque ad oggetto la sfera di potere giurisdizionale attribuita ai giudici nei rapporti con altri giudici di ordine diverso. Il problema in pratica nasce in relazione ai rapporti tra giudici amministrativi e civili e l’elemento che contraddistingue l’una e l’altra giurisdizione è la natura della situazione sostanziale controversa (a seconda che si tratti cioè di diritti soggettivi o interessi legittimi). Il problema però può sorgere anche con riferimento ad altre due possibili situazioni e cioè:

1) La situazione sostanziale non è affatto tutelabile in sede giurisdizionale

2) La situazione sostanziale rientra nella sfera di giurisdizione di un giudice straniero

Riguardo alla prima ipotesi va detto che essa è ipotizzabile solo nei rapporti tra cittadini e P.A. per le situazioni di cd. Interesse semplice. Per quanto riguarda la seconda ipotesi va detto che il problema si pone solo quando lo straniero che non ha la residenza o il domicilio in Italia sia convenuto e che in base alla legge del 31/5/95 n. 218 il relativo difetto può essere rilevato solo dal convenuto costituitosi che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana in ogni stato e grado del procedimento mentre deve essere rilevato d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento soltanto nelle cause concernenti beni immobili situati all’estero, quando il convenuto sia contumace nonché nei casi in cui norme internazionali escludano la giurisdizione italiana.

Nel caso in cui sorga una questione di giurisdizione le parti possono presentare istanza alla Corte di Cassazione ma solo fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado. L’istanza che si propone con ricorso dopo essere stata depositata nella cancelleria del giudice avanti al quale pende la causa produce la sospensione del processo con ordinanza non impugnabile solo se il giudice non ritenga l’istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata. La sentenza della cassazione che regola la giurisdizione sopravvive all’estinzione del processo e qualora la causa sia riassunta entro sei mesi dalla comunicazione non pregiudica le questioni sulla proponibilità della domanda o sulla pertinenza del diritto. Il regolamento di giurisdizione di cui all’art. 41 c.p.c. ha dato luogo ha vari problemi applicativi che la giurisprudenza ha cercato di risolvere. A tal fine si è ritenuto:

1) che il regolamento di giurisdizione non è un mezzo d’impugnazione per cui esso può essere proposto anche da quelle parti che non sono legittimate a proporre impugnazione in via autonoma come ad es. gli interventori adesivi dipendenti

2) che la decisione di primo grado che preclude la proposizione del regolamento è solo quella che forma la cosa giudicata cioè quella che statuisce sull’esistenza o inesistenza del diritto controverso e non anche quella che decide eventuali questioni pregiudiziali di rito

3) che il regolamento di giurisdizione è proponibile non solo nel processo contenzioso ordinario ma anche in pendenza di altri procedimenti come ad es. quelli cautelari o esecutivi ed anche davanti a giudici di ordine diverso come ad es. quelli amministrativi

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