Il termine «giurisdizione volontaria» risale al diritto romano ed è giunto a noi attraverso il processo italiano medievale, ove il termine «iurisdictio voluntaria» indicava quel complesso di atti che gli organi della giurisdizione compivano di fronte ad un solo interessato o sull’accordo, e quindi «in volentes», di più interessati. Puntuale, quindi, appare la recezione operata dal codice di procedura civile del 1865, ove la «volontaria giurisdizione» veniva individuata come materia da trattare in camera di consiglio, accanto «alle altre materie da trattare senza contraddittore», nonché ai casi «determinati dalla legge».

Il termine volontaria giurisdizione non è, invece, utilizzato nel codice vigente a proposito dei procedimenti in camera di consiglio. Tuttavia, detto termine è stato conservato con riferimento ai provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione, nonché nei casi in cui è sancito l’obbligo di sentire il p.m. nei procedimenti di «volontaria giurisdizione» riguardanti il fondo patrimoniale.

Alcune attribuzioni possono, per scelta del legislatore, essere trasferite dal giudice alla pubblica amministrazione o ad un privato investito di pubbliche funzioni; ciò dimostra la relatività della tripartizione delle funzioni dello Stato – legislativa, giurisdizionale, esecutiva -, che si risolve nell’unità dell’ordinamento, ma che non comporta necessariamente che, se quelle attribuzioni competono al giudice, siano prive dei caratteri propri della giurisdizione e abbiano natura amministrativa, mista, o inquadrabile in un tertium genus.

Si tratta di un fenomeno non nuovo, verificatosi anche di recente a proposito dell’iscrizione delle società commerciali nel registro delle imprese. Infatti il codice civile prevedeva all’art. 2330 che il notaio, che avesse ricevuto l’atto costitutivo della società, doveva provvedere al suo deposito, unitamente agli allegati, presso l’ufficio del registro delle imprese; il tribunale deteneva il potere di verificare l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società e, sentito il pm, di ordinarne, con decreto, l’iscrizione nel registro delle imprese.

Con la riforma del diritto societario introdotta dal d.lgs. 6/2003, è stata conservata l’attribuzione al notaio, che ha ricevuto l’atto costitutivo della società, del compito di effettuarne il deposito nel registro delle imprese, allegando i documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni previste per la costituzione della società. E’ venuto meno, invece, il potere del tribunale di verificare queste condizioni, sostituito da un precetto di duplice contenuto: è sancita, infatti, la regola secondo cui «l’iscrizione della società nel registro delle imprese è richiesta contestualmente al deposito dell’atto costituito » ed è stato assegnato all’ufficio del registro delle imprese il compito di verificare la regolarità formale della documentazione e di procedere quindi, all’iscrizione della società nel registro.

Importante è poi la distinzione tra giurisdizione volontaria e giurisdizione contenziosa, che si ripercuote sui rapporti esistenti tra giurisdizione volontaria e procedimenti in camera di consiglio:

  • giurisdizione volontaria: ha sempre scopo costitutivo, nel senso che tende alla costituzione di rapporti giuridici nuovi o allo scioglimento di rapporti giuridici esistenti
  • giurisdizione contenziosa: mira all’attuazione di rapporti giuridici esistenti

E’ poi necessario, nell’ambito della giurisdizione volontaria, l’intervento del giudice e il compimento di atti di volontaria giurisdizione per costituire o svolgere tali rapporti, pur in difetto di una pretesa che un soggetto eserciti nei confronti di un altro, o di un effetto che possa prodursi anche nei suoi confronti.

Il giudice della volontaria giurisdizione interviene sono nelle situazioni anomale rispetto all’autonomia privata, nelle quali la volontà del soggetto non è idonea da sola ad ottenere un determinato effetto.

I provvedimenti camerali che possono ricondursi alla giurisdizione volontaria si caratterizzano per la loro connessione formale e sostanziale con atti destinati a spiegare i loro effetti in una determinata sfera giuridica, oppure per la loro funzione di autorizzazione al compimento di singoli atti di diritto sostanziale, i cui elementi principali vengono delineati in sede giudiziaria anche nell’ambito di fattispecie giuridiche più complesse.

Problematico è il coordinamento della volontaria giurisdizione con le forme del procedimento camerale. In materia di volontaria giurisdizione le forme camerali pure sono utilizzabili quando l’intervento del giudice costituisce un elemento integrativo dell’atto che il singolo soggetto compie e che non può compiere liberamente perché vi è un’insufficienza relativa della volontà.

Tali provvedimenti sono emessi in forma di decreto e su ricorso al giudice competente, che è il tribunale in composizione collegiale, salvo che la legge non attribuisca la competenza ad altro giudice, come nel caso del presidente del tribunale per i provvedimenti relativi alle cauzioni e agli esecutori testamentari.

Quando vi è anche solo l’eventualità che il provvedimento di volontaria giurisdizione debba essere emesso non nei confronti di un solo soggetto interessato, ma di un effettivo o possibile contraddittore, le forme offerte dal binomio ricorso-decreto e l’attribuzione al giudice del potere di assumere ex officio «sommarie informazioni» risultano insufficienti.

E così il procedimento di separazione personale dei coniugi si instaura con ricorso ma si conclude con sentenza. Altrettanto accade per l’interdizione e l’inabilitazione e per la dichiarazione di assenza e di morte presunta.

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