Si pone a questo punto il problema di stabilire quale sia il rapporto tra sentenza di condanna ed esecuzione forzata. I procedimenti di esecuzione forzata (libro III) sono idonei ad assicurare l’esecuzione delle sentenze di condanna:

  • al pagamento di una somma di denaro, tramite il processo di espropriazione forzata;
  • all’adempimento di un obbligo di consegnare (o rilasciare) una cosa, tramite il processo di esecuzione forzata per consegna (o rilascio);
  • all’adempimento di un obbligo di fare fungibile, tramite il processo di esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare.

La tecnica dell’esecuzione forzata risulta strutturalmente inadeguata per una serie di obblighi. In particolare, non si può ricorrere a tale tecnica per attuare:

  • gli obblighi di fare infungibili, per i quali è necessaria la cooperazione dell’obbligato;
  • gli obblighi di fare che pur essendo astrattamente fungibili comportano particolari difficoltà ad essere eseguiti;
  • gli obblighi di non fare, per i quali è necessaria l’attuazione di una tutela che prevenga la violazione.

L’instaurazione di una correlazione tra condanna e esecuzione forzata comporta quantomeno due ripercussioni problematiche:

  • tutti i diritti il cui godimento è assicurato da obblighi non suscettibili di esecuzione forzata possono essere tutelati solo tramite la forma dell’equivalente monetario, monetizzazione questa che non appare giustificabile alla luce della Costituzione, la quale tutela una serie molto numerosa di situazioni che possono essere soddisfatte solo attraverso obblighi di non fare o obblighi di fare infungibili;
  • la tutela di condanna può esercitare soltanto una funzione repressiva della violazione effettuata e mai una funzione diretta a prevenire la violazione.

Riesaminando le disposizioni che la dottrina è solita porre a fondamento dell’affermazione secondo cui oggetto della condanna possono essere solo obblighi suscettibili di
esecuzione forzata, comunque, si rileva come nessuna disposizioni giustifica tale correlazione:

  • l’art. 474 n. 1 non fornisce alcun argomento in ordine al problema relativo al se oggetto della sentenza di condanna possono essere anche obblighi non suscettibili di esecuzione forzata: essendo l’ottica della disposizione quella dell’esecuzione forzata, infatti, da essa non può dedursi nulla;
  • l’art. 2818 c.c., parlando di sentenza che porta la condanna al pagamento di una somma o all’adempimento di altra obbligazione , usa una formulazione che ricomprende senza problemi, oltre alle sentenze di condanna all’adempimento di obblighi violati suscettibili di esecuzione forzata, anche le sentenze di condanna all’adempimento di obblighi non ancora violati ma suscettibili di esecuzione forzata in caso di loro successiva violazione, le sentenze di condanna all’adempimento di obblighi violati non suscettibili di esecuzione forzata il cui adempimento appare ancora possibile e le sentenze di condanna dirette ad impedire violazioni future;
  • l’art. 2953 c.c. porta a ritenere che il legislatore abbia inteso rafforzare la tutela dei diritti originariamente soggetti a prescrizione breve qualora riguardo ad essi sia intervenuta una sentenza di condanna. Posto che il fenomeno della prescrizione produce effetti innanzitutto sul piano sostanziale, non sembra condivisibile individuare la ratio di tale rafforzamento di tutela nell’idoneità della sentenza a costituire titolo per iniziare un procedimento esecutivo (interpretazione riduttiva).

Una volta constatato come nessuno di tali articoli imponga di instaurare una correlazione tra condanna ed esecuzione forzata, occorre rilevare che dall’analisi del diritto positivo emerge l’esistenza di numerose disposizioni che esplicitamente prevedono la condanna a obblighi non suscettibili di esecuzione forzata:

  • l’art. 7 c.c. (tutela del diritto al nome), l’art. 9 c.c. (tutela dello pseudonimo) e l’art. 10 c.c. (abuso dell’immagine altrui) dispongono che la condanna può avere ad oggetto non solo il risarcimento del danno, ma anche la cessazione del fatto lesivo derivante dalla violazione dell’obbligo di non fare: dal momento che i diritti della personalità sono diritti a contenuto non patrimoniale, infatti, l’ordinamento può garantire loro una tutela giurisdizionale adeguata soltanto qualora non si limiti a reprimere la violazione ma tenda a prevenirla;
  • l’art. 949 co. 2 c.c. e l’art. 1079 c.c., disciplinando la tutela del diritto di proprietà e del diritto di servitù, prevedono espressamente che oggetto della condanna possa essere, oltre al risarcimento del danno e alla rimessione in pristino, anche l’ordine di cessazione delle turbative, delle molestie e degli impedimenti. Il legislatore predispone una tipica forma di tutela preventiva, ma in questo caso, differentemente dall’ipotesi precedente, siamo in presenza di diritti a contenuto patrimoniale rispetto ai quali la tutela per equivalente monetario non può essere considerata a priori inadeguata;
  • l’art. 2599c.c., disponendo che la sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti , distingue con estrema limpidità tra:
    • la funzione repressiva della condanna, diretta ad eliminare gli effetti della violazione tramite la condanna all’adempimento di obblighi derivati di disfare o di fare;
    • la funzione preventiva (o inibitoria) della condanna, diretta ad impedire la continuazione della violazione tramite la condanna all’adempimento in futuro degli obblighi di non porre in essere gli atti di concorrenza sleale accertati;
  • l’art. 28 della l. n. 300 del 1970, nel disciplinare un procedimento a tutela della libertà sindacale e del diritto di sciopero, dispone esplicitamente che il giudice, una volta accertato il comportamento antisindacale denunciato, ordini la cessazione del comportamento illecito (funzione preventiva) e la rimozione degli effetti (funzione repressiva) ;
  • l’art. 18 della l. n. 300 del 1970 disciplina l’ipotesi della condanna del datore di lavoro a reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato.

Il problema lasciato in gran parte insoluto dalla disposizione in esame è quello relativo all’individuazione delle modalità con cui garantire l’attuazione del provvedimento giudiziale che impone la reintegra, stante il fatto che ci troviamo di fronte ad un obbligo derivato di fare complesso (es. rientro coattivo del lavoratore nello stabilimento, reinserimento nell’attività lavorativa), difficilmente suscettibile di esecuzione forzata.

Dall’analisi appena svolta possiamo trarre le seguenti conclusioni:

  • nessuna norma impone la correlazione necessaria tra condanna ed esecuzione forzata;
  • numerose disposizioni ammettono ipotesi sentenze di condanna aventi ad oggetto anche l’adempimento di obblighi non suscettibili di esecuzione forzata;
  • la tutela di condanna è chiamata ad assolvere non solo una funzione repressiva, diretta ad eliminare gli effetti della violazione, ma anche una funzione preventiva (o inibitoria), diretta ad impedire la violazione o la continuazione della stessa;
  • il numero delle ipotesi in cui l’ordinamento ammette la funzione preventiva della tutela di condanna consente di attribuire alla tutela coercitiva carattere generale
Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento