L’art. 34 c.p.c. incide sui limiti oggettivi della cosa giudicata materiale. Afferma che “il giudice, se per legge o domanda di una delle parti, deve decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale …”. Questa è la parte rimasta in vigore. Prevede che vi siano delle questioni pregiudiziali che il giudice deve decidere con efficacia di giudicato (può avvenire per legge o su esplicita domanda di una delle parti).

Quando deve essere decisa una causa, il giudice per arrivare a pronunciare sul merito, deve decidere numerosi antecedenti logici che hanno tutti carattere pregiudiziale. Questi antecedenti logici possono avere una duplice natura:

–          Natura processuale (condizioni di trattabilità e decidibilità della causa nel merito);

–          Natura di merito: questioni di fatto e di diritto che il giudice deve conoscere per poter pronunciare sulla domanda nel merito. Deve verificare che esista il fatto costitutivo posto a fondamento della domanda (causa petendi), deve verificare se esista o meno il fatto dedotto in giudizio dal convenuto come oggetto di eccezione (fatti cosiddett  estintivi).

Tra tutti gli antecedenti logici bisogna individuare quelli che sono le questioni pregiudiziali ai sensi dell’art. 34 c.p.c. Il legislatore ci indica che queste questioni possono essere decise con efficacia di cosa giudicata allora, siccome nel nostro ordinamento possono essere decise con efficacia in giudicato solo le questioni relative all’esistenza o inesistenza di diritti, rapporti giuridici o status, le questioni pregiudiziali sono quelle relative a rapporti giuridici, diritti e status (nel nostro ordinamento solo queste possono essere dedotte in un autonomo processo). Questo ragionamento ci consente di escludere dalla disciplina dell’art. 34 c.p.c. tutti gli altri antecedenti logici, il che significa che non può accadere che, su domanda di parte o per volontà di legge, il giudice decida con efficacia in giudicato su antecedenti logici diversi da queste questioni.

Esempio:    Tizio agisce chiedendo gli alimenti nei confronti di Caio affermando di essere figlio legittimo e di versare in uno stato di bisogno.

Oggetto del processo è il diritto ad ottenere gli alimenti.

Questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 34 c.p.c. non è lo stato di bisogno (questa è una questione di fatto), ma l’esistenza od inesistenza dello status di figlio legittimo.

Dall’art. 34 c.p.c. si ricava quella che è la regola generale: le questioni pregiudiziali ai sensi dell’art. 34 c.p.c. di regola sono decise con efficacia incidenter tantum (efficacia incidentale: hanno efficacia limitatamente al processo in cui sono decise). Solamente se vengono decise con efficacia di cosa giudicata materiale avranno efficacia anche in altri processi.

Esempio:    Tizio chiede gli alimenti a Caio affermando di essere figlio legittimo e di versare in uno stato di bisogno. Il giudice risolve la questione relativa allo status di figlio legittimo con efficacia incedenter tantum. Ciò che è stato deciso con efficacia di cosa giudicata è solo il diritto agli alimenti. Tizio muore e nomina erede universale la moglie Sempronia. Caio agisce per far valere il suo diritto alla legittima. Il giudice del secondo processo deve decidere anche lui la questione se Tizio è figlio legittimo o meno, non è vincolato dalla decisione presa dal primo giudice.

Se il giudice del primo processo, a seguito della domanda di parte di accertamento incidentale, abbia deciso con efficacia di cosa giudicata materiale anche sull’esistenza dello status di figlio legittimo, questa decisione vincola anche il giudice del secondo processo.

Prima distinzione:

–          Accertamento incidentale su domanda di parte: la formazione non è sacramentale (non ci sono forme particolari per proporre la domanda di accertamento incidentale), si può formulare in qualsiasi modo purché sia formulata la volontà;

–          Accertamento incidentale ex lege (es. eccezione di compensazione);

Seconda distinzione:

–          Questione pregiudiziale: deve sorgere un contrasto tra le parti nel corso del processo (se non vi è questo contrasto non si può proporre la domanda di accertamento incidentale);

–          Punto pregiudiziale: quando non vi è contrasto fra le parti nel processo. Se vi è la domanda su un punto pregiudiziale, la domanda è inammissibile.

Terza distinzione:

–          Questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 34 c.p.c.;

–          Questioni pregiudiziali di rito (art. 187.3 c.p.c.): il giudice può rimettere la causa al collegio affinché venga decisa separatamente una questione attinente alla giurisdizione o alla competenza o ad altra questione pregiudiziale;

–          Questioni preliminari di merito (art. 187.2 c.p.c.): il giudice può rimettere la causa al collegio affinché decida una questione di merito avente carattere preliminare.

Entrambe queste ultime due questioni possono comportare la definizione della causa (il giudice può emanare una sentenza definitiva di merito o di rito), tale per cui il giudice di un secondo processo sarà vincolato da questa sentenza.

L’art. 188 c.p.c. prevede che il giudice istruttore assuma i mezzi di prova e, esaurita l’istruzione, rimetta la causa al collegio affinché venga decisa nel merito. La regola generale quindi prevede che il giudice prima esaurisca l’istruzione della causa, e quindi rimetta le parti al collegio per la decisione.

L’art. 187 c.p.c. prevede delle ipotesi in cui non si ha l’istruzione totale della causa, e questa può essere rimessa al collegio senza che l’istruzione sia totale. Il primo comma prevede addirittura l’ipotesi che non sia necessaria alcuna attività istruttoria: questo può accadere quando è una causa di puro diritto, oppure quando la causa è documentale, nel senso che sono sufficienti le prove documentali o precostituite (le prove costituende sono quelle che si formano nel corso del processo, es. prova per testimoni).

Il giudice può rimettere la causa al collegio solamente qualora la loro decisione (delle questioni pregiudiziali di merito e preliminari di rito) può definire il processo, significa che la loro decisione può sfociare in sentenze definitive. L’art. 279 c.p.c., che disciplina i provvedimenti con cui il collegio prende le sue decisioni, afferma nel secondo comma che esso decide con sentenza definitiva quando:

–          Definisce il processo risolvendo questioni sulla giurisdizione;

–          Definisce il processo decidendo questioni pregiudiziali di rito o questioni preliminari di merito

Bisogna stabilire quand’è che il giudice sceglie se rimettere le parti al collegio oppure istruire totalmente la causa (ha un potere discrezionale): esercita questo potere in base al suo convincimento che la questione sia fondata (se ritiene che la questione sia fondata riterrà opportuno non effettuare un’istruzione che si rivelerebbe inutile, ma provocare la decisione del collegio su quella questione). Il collegio non è minimamente vincolato dall’opinione del giudice istruttore.

Il collegio, se ritiene che la questione sia fondata e ad esempio manchi la legittimazione ad agire, emanerà una sentenza con cui rigetterà la domanda (la rigetta in rito). Se invece ritiene che la questione sia infondata, e che quindi sussista la legittimazione ad agire, emanerà una sentenza non definitiva e rimetterà la causa al giudice istruttore affinché continui.

Le questioni preliminari di merito, la cui decisione può comportare la definizione della causa, sono le questioni che hanno per oggetto fatti principali:

–          Fatto costitutivo dell’attore;

–          Fatto costitutivo del diritto sostanziale fatto valere dall’attore (fatto giuridico posto a fondamento della domanda o causa petendi);

–          Fatti oggetto dell’eccezione del convenuto (estintivi, modificativi, impeditivi).

–          Quando si eccepisce un fatto, la decisione di quel fatto dipende dalla soluzione di questioni di fatto o di diritto (es. la prescrizione dipende dalla soluzione di questioni di fatto e di diritto. Questione di fatto è il mancato esercizio del diritto per un determinato periodo di tempo, questione di diritto è stabilire se quel determinato diritto dedotto in giudizio è soggetto ad un termine di 5 anni o di 10 anni).

Più in generale questioni di diritto sono le seguenti:

  • La qualificazione giuridica della fattispecie (es. è un contratto od una donazione?);
  • L’individuazione delle norme che disciplinano la fattispecie;
  • La loro interpretazione;
  • La deduzione delle conseguenze giuridiche previste dalle norme (gli effetti giuridici previsti in astratto);
  • La loro applicazione alla fattispecie concreta.
  • C’è un orientamento restrittivo che afferma che si può rimettere anticipatamente la causa al collegio solo quando si tratta di risolvere questioni di fatto, non questioni di diritto (es. Consolo). Questioni preliminari di merito significa che quella questione è matura per la decisione prima che sia matura l’intera causa per la decisione.

Le caratteristiche delle questioni preliminari di merito, quindi i presupposti per la rimessione anticipata, sussistono anche con riferimento alle questioni pregiudiziali ai sensi dell’art. 34 c.p.c. (anche quest’ultime sono questioni di merito la cui decisione può comportare la definizione della causa). È possibile assoggettare le questioni pregiudiziali ex art. 34 c.p.c. alla disciplina prevista per le questioni preliminari di merito? La risposta prevalente è negativa sulla base del rilievo che il legislatore vuole che le questioni pregiudiziali ex art. 34 c.p.c. siano decise con efficacia di cosa giudicata solo se c’è o la domanda di parte, o la volontà di legge. Se ritenessimo applicabile l’art. 187.2 c.p.c. anche alle questioni pregiudiziali ex art. 34 c.p.c. avremmo come conseguenza che questioni aventi ad oggetto diritti, rapporti o status, sarebbero decise con efficacia di giudicato per iniziativa del giudice istruttore (sarebbe una sorta di pronuncia d’ufficio. Vige nel nostro ordinamento il principio della cosiddett domanda che vuole che sia riservata alla parte sia l’iniziativa del processo che la determinazione dell’oggetto del processo. La pronuncia d’ufficio è eccezionale nel nostro ordinamento).

Quarta distinzione nell’ambito delle questioni pregiudiziali:

–          Pregiudizialità per dipendenza: es. diritto agli alimenti e questione relativa allo status di figli legittimo;

–          Pregiudizialità per incompatibilità: quando viene dedotto un diritto sostanziale in via di eccezione (es. art. 35 eccezione di compensazione).

Esempio:  Tizio agisce rivendicando un bene affermando di essere proprietario. Caio eccepisce un rapporto di locazione affermando di essere conduttore. La questione relativa all’esistenza del rapporto locatizio è una questione pregiudiziale che ha per oggetto una situazione sostanziale eccepita dal convenuto.

Vale sempre la regola che sulle questioni pregiudiziali si decide sempre con efficacia incidenter tantum (a meno che non vi sia la volontà delle parti o quella della legge).

Quinta distinzione:

–          Pregiudizialità tecnica: si ha nel caso di rapporti fra situazioni sostanziali distinte, una delle quali rientra nella fattispecie costitutiva dell’altra (es. diritto agli alimenti derivante dallo status di figlio legittimo. Qui lo status di figlio legittimo rientra nella fattispecie costitutiva dello status di figlio legittimo);

–          Pregiudizialità logica: si ha nei casi in cui da un rapporto giuridico complesso, dal quale nasce una molteplicità di effetti giuridici. Si prende in considerazione uno di questi effetti.

Esempio: nel rapporto di locazione sorgono diversi effetti sia per il conduttore che per il locatore. Uno di questi è il diritto al pagamento del canone.

Secondo questo orientamento che sostiene la validità della distinzione, quando viene dedotto in giudizio uno degli effetti del rapporto giuridico complesso (il pagamento del canone), la decisione che accerta l’esistenza del diritto (diritto al pagamento del canone) comporta sempre l’accertamento del rapporto giuridico complesso (del rapporto di locazione). L’accertamento sull’oggetto del processo (diritto al pagamento del canone) si estende anche allo causa petendi.

Quindi secondo questa opinione l’art. 34 c.p.c. trova applicazione solo con riferimento alla pregiudizialità tecnica, non con riguardo alla pregiudizialità logica.

È preferibile non accogliere questa opinione per vari motivi:

–          L’art. 34 c.p.c. non distingue affatto;

–          La ratio di questa distinzione è quella di evitare contrasti logici fra giudicati (per fare questo si estende la cosa giudicata).

Esempio: Tizio fa valere il diritto al pagamento del canone. Accogliendo l’opinione tradizionale dell’art. 34 c.p.c. che non ammette tale distinzione, la questione relativa all’esistenza del contratto di locazione verrebbe decisa con efficacia incidenter tantum (quindi non vincola i giudici successivi). Viene accolta la domanda relativa al pagamento del canone, il conduttore paga per un certo periodo di tempo e poi non paga più. Di nuovo viene proposta la domanda relativa al pagamento di un altro canone di locazione, il giudice di questo secondo processo non è vincolato alla decisione del primo processo (potrebbe risolvere diversamente la questione relativa all’esistenza del rapporto di locazione). Qualora venga rigettata la domanda, fra le due decisioni si creerebbe un contrasto, che non è pratico poiché si riferisce a diritti sostanziali diversi, ma è logico perché riguarda la soluzione di una questione pregiudiziale comune ad entrambe.

–          Il rischio che si crei un contrasto non è un rischio al quale sono esposte le parti necessariamente, sono libere di dedurre in giudizio i propri diritti sostanziali (di determinare l’oggetto del processo).

Nell’esempio di cui sopra sia l’attore che il convenuto avrebbero potuto chiedere l’accertamento con efficacia in giudicato con riferimento al rapporto locatizio.

Lascia un commento