I delitti di omicidio del consenziente (art.579) ed istigazione o aiuto al suicidio (580) presentano l’elemento comune della partecipazione della vittima alla realizzazione: nel primo caso la vittima partecipa con il consenso, mentre nel secondo caso partecipa attivamente con una condotta diretta a togliersi la vita.

Entrambe le norme rinviano poi alla disciplina dell’omicidio comune in una serie di ipotesi:

  • L’art.579 comma 3 prevede che l’omicida sia punito per il delitto di omicidio doloso qualora il consenso risulti viziato dalla minore età o dallo stato di deficienza psichica, nonché da violenza, minaccia o inganno;  
  • L’art.580 comma 2 si applicano le disposizioni dell’omicidio comune qualora il soggetto che si toglie la vita abbia meno di 14 anni oppure sia incapace di intendere e di  volere. Vi è poi un aumento di pena, rispetto alla pena base prevista dal comma 1, qualora il suicida sia minore di 18 anni (e maggiore di 14) e nei casi di infermità e deficienza psichica.

Le due disposizioni in esame si sono trovate al centro di un acceso dibattito con riferimento ai fatti inquadrabili nella problematica del cosiddetto aiuto a morire del soggetto colpito da malattia inguaribile e sofferenza insopportabile, che rifiuti di continuare a vivere. I sostenitori del principio di indisponibilità della vita ricercano negli articoli 579 e 580 una conferma della loro tesi; invece quelli della teoria sempre più dilagante del “diritto a morire” ne contestano la costituzionalità.

Le incriminazioni di cui agli artt.579 e 580 sono, secondo il manuale di Fiorella, del tutto coerenti con il vigente assetto costituzionale, in quanto il diritto all’autodeterminazione non implica il riconoscimento della disponibilità della vita manu aliena (per mano altrui). Nelle due disposizioni, infatti, proprio per il rango supremo dei beni personali in gioco, la legge predispone il massimo grado di tutela, al fine di garantire la volontà del titolare dalle possibili interferenze esterne che potrebbero incidere sulla libertà di scelta.

Non è inoltre accettabile la tesi che considera il suicidio come diritto: il fatto che il suicidio non sia punito dalla legge penale, lo rende certamente una liberalità di fatto, ma non un diritto. In effetti, non tutto ciò che non è vietato deve considerarsi approvato dall’ordinamento, con la conseguente possibilità di avanzare una pretesa nei confronti di terzi.

In materia si pone il problema dei pazienti inguaribili, fisicamente incapaci di darsi la morte senza la partecipazione attiva di terzi. Sul tema della costituzionalità dell’art.580 si è recentemente pronunciata la Corte Costituzionale, in merito alla vicenda dell’attivista Marco Cappato.

La Corte ha stabilito la non operatività dell’art.580 nei confronti di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ed affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.