Circa la questione della disponibilità o indisponibilità della vita, va preliminarmente osservato che tali nozioni di matrice privatistica, riferite al bene-vita, appaiono improprie, in quanto il concetto di disponibilità in senso stretto si riferisce ai diritti trasferibili, e segnatamente patrimoniali.

Ad ogni modo, tradizionalmente, si contrappongono due teorie:

  1. Si sostiene che la vita sia indisponibile, e pertanto la tutela penale della vita deve operare sempre e comunque, a prescindere dal consenso del titolare.
  2. Altri ritengono invece che la vita sia un bene nella disponibilità del titolare, con conseguente rivendicazione del diritto di rifiuto alle cure salvavita, nonché della legalizzazione delle pratiche eutanasiche e di suicidio assistito.

La battaglia si svolge su tre punti:

1a) I sostenitori della indisponibilità della vita, sostengono che, sancendo l’art.32 Cost la salute come “diritto fondamentale dell’individuo e nell’interesse della collettività”, la vita va considerata quale interesse collettivo, e pertanto non nella disponibilità del soggetto.

1b) I fautori della tesi della disponibilità della vita, invece, rivendicano la vita come bene individuale, per il quale va garantito il massimo livello di autodeterminazione.

2a) Chi sostiene l’indisponibilità della vita fa leva sull’art.5 del codice civile che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo che cagionino una diminuzione permanente o irreversibile della integrità fisica: di conseguenza non si potrebbe disporre neanche della vita. [Rispetto all’art.5 l’attività medico-chirurgica si pone non come eccezione ma in rapporto di eterogeneità]

2b) I sostenitori della tesi opposta, invece, rilevano che l’art.5 è una norma di diritto privato, e pertanto riferita a rapporti patrimoniali, che non hanno niente a che vedere con il disporre della propria vita per porre fine alle proprie sofferenze.

3a) I fautori della tesi dell’indisponibilità della vita richiamano gli artt. 579 e 580, secondo i quali sono puniti penalmente l’omicidio del consenziente nonché l’aiuto al suicidio.

3b) La tesi opposta afferma che la questione va risolta guardando alla Costituzione e non agli articoli 579-580, in quanto si tratta di norme di rango ordinario.

 

Certamente lo schema originario del codice risente del pensiero panbubblicistico secondo cui la persona non godrebbe mai della titolarità piena di alcun bene giuridico, che sarebbe invece condivisa con lo stato. In questo senso il singolo è solo un custode dei propri beni.

Ad ogni modo, il personalismo costituzionale impedisce che i beni della persona siano concepiti come subalterni e funzionali ad un interesse collettivo.