Il carattere inderogabile delle disposizioni della legge (e della contrattazione collettiva) comporta l’indisponibilità dei diritti da esse previsti, con la conseguente nullità delle pattuizioni difformi. L’articolo 2113 del Codice Civile prevede, però, una specifica disciplina che ha ad oggetto “le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti e accordi collettivi”.

Da un lato, è sancito che tali rinunzie e transazioni “non sono valide”. D’altro lato, però, è previsto l’onere del lavoratore di impugnarle, “a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto” (ove la rinunzia o la transazione siano intervenute nel corso del rapporto di lavoro), ovvero entro sei mesi “dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima”.

La previsione dell’onere dell’impugnativa da parte del lavoratore ha indotto la dottrina a ritenere che la “invalidità” disposta dall’articolo 2113 del Codice civile rientri nella categoria dell’annullabilità e non in quella della nullità. In ogni caso, la previsione del termine di decadenza comporta che la omessa impugnazione del lavoratore comporta indirettamente un modo di disporre di diritti che derivano da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi.

Si pone, pertanto, il complesso e delicato problema di come distinguere, e coordinare, da un lato, il campo di applicazione della regola generale della nullità delle pattuizioni contrarie alle disposizioni inderogabili, e, dall’altro, il campo di applicazione della disciplina delle rinunzie e transazioni prevista dall’articolo 2112 del Codice civile. Si pone, altresì, il problema di come spiegare la ratio delle due diverse discipline, apparentemente contraddittorie.

Il legislatore ha inteso comprimere in modo diverso l’autonomia individuale delle parti a seconda che essa abbia ad oggetto la definizione del regolamento contrattuale volto a disciplinare le prestazioni da eseguire, ovvero abbia ad oggetto la definizione dei diritti già maturati dal lavoratore per effetto di prestazioni già eseguite.

Nella definizione del regolamento contrattuale delle prestazioni da eseguire, i diritti previsti dalle disposizioni inderogabili sono totalmente sottratti alla disponibilità dell’autonomia privata, le cui pattuizioni difformi sono nulle e sostituite dalle disposizioni stesse. La compressione dell’autonomia individuale delle parti, invece, non è assoluta quando tale autonomia abbia ad oggetto la disposizione di diritti già maturati dal lavoratore per effetto di prestazioni già eseguite, perché, in tale ipotesi, il legislatore ha tenuto conto di due considerazioni.

In primo luogo, quando la rinunzia o la transazione riguarda diritti già maturati, il lavoratore ha conoscenza di quali sono, in concreto, i diritti di cui sta disponendo; invece, quando sottoscrive un patto che regola le condizioni di esecuzione di prestazioni ancora da svolgere, l’atto dispositivo ha, normalmente, un contenuto non completamente determinato e, comunque, il lavoratore non ha tutti gli elementi di conoscenza per valutare quali saranno, in concreto, tutti gli effetti derivanti dall’atto dispositivo.

Difatti, secondo la giurisprudenza, l’atto dispositivo di diritti non ancora entrati nel patrimonio individuale del lavoratore è nullo per indeterminatezza dell’oggetto, sia se contenuto in un atto unilaterale di rinuncia, sia se contenuto in un contratto di transazione.

In secondo luogo, è da ritenere che, per gli atti dispositivi di diritti già maturati, la previsione di una ipotesi di invalidità meno severa trova spiegazione e giustificazione nella finalità di contemperare l’istanza di protezione del contraente debole con le esigenze di certezza dei rapporti giuridici, tenendo anche presente che il termine di decadenza è fatto decorrere soltanto dopo la cessazione del rapporto di lavoro e, quindi, in una situazione nella quale il lavoratore non è più sottoposto alla “forza” del datore di lavoro, ed al conseguente metus nei suoi confronti.

Né, infine, vi è una insanabile contraddizione, o una vera antinomia, tra la disciplina prevista dagli articoli 1418 e 2113 del Codice civile, in quanto la regola generale posta dalla prima di tali disposizioni, con la quale è sancita la nullità delle clausole contrattuali contrarie a norme imperative, fa salva la possibilità “che la legge disponga diversamente”. Infatti, la legge ha previsto l’onere dell’impugnazione, a pena di decadenza, anche per altri atti contrarie a norme imperative quali il licenziamento nullo o la clausola nulla avente ad oggetto l’apposizione del termine al contratto di lavoro.

Si deve, quindi, concludere che la legge non prevede una indisponibilità assoluta dei diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi, bensì una indisponibilità relativa, in quanto il lavoratore può indirettamente disporre di tali diritti omettendo di impugnare, entro il termine di decadenza previsto, le rinunzie e le transazioni aventi per oggetto i diritti già maturati.

Vi è, poi, una ulteriore ragione che impone di escludere che i diritti di cui trattasi formino oggetto di indisponibilità assoluta. Ed infatti, il quarto ed ultimo comma dell’articolo 2113 del Codice civile stabilisce che le disposizioni che lo precedono non si applicano alle conciliazioni intervenute in sedi considerate “protette”. Da ciò si desume che le rinunzie e le transazioni intervenute in tali sedi possano validamente avere ad oggetto diritti derivanti dalle disposizioni della legge o dei contratti collettivi.

Invero, la ratio della previsione di tale validità non può essere individuata formulando l’ipotesi che la sede “protetta” consentirebbe di escludere il rischio della dismissione di diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi; quella ratio, infatti, deve essere individuata esclusivamente nella valutazione del legislatore che il lavoratore possa esprimere la sua eventuale volontà dismissiva in modo consapevole e libero.

 

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