La prospettiva vittimologica ha certamente condotto a un ampliamento del campo di conoscenza criminologico. Lo studio della vittima ha impresso a una più generale visione dinamica e interattiva del crimine, antitetica rispetto alla ricorrente tendenza a estrapolarne isolati tasselli per elevarli a esclusivi centri di gravitazione del tutto criminale. La ricerca vittimologica ha avuto il senso di rimarcare l’esigenza di analizzare il crimine come una forma di interazione sociale che scaturisce da specifici contesti sociali in cui la distinzione tra delinquente e vittima non è sempre concettualmente utile.

Ogni impostazione teorica intenzionata a raccogliere e includere nei propri orizzonti i molti detriti accumulati per un verso può apparire espressione di una hegeliana velleità totalizzante o di una pretenziosa ambizione di chiudere la storia con una parola definitiva. Vista da una diversa angolatura si presenta invece come una forma di pietas scientifica: esprime pur sempre un atto di rispetto per il passato criminologico. Si riconosce una criminologia semplicemente umana nel senso di prospettiva umanistica e non nichilistica e poi nel senso di porre a oggetto della ricerca empirica la realtà umana del crimine.

Alla definizione della criminologia assunta inizialmente come ipotesi di lavoro sembra possibile aggiungere l’inquadramento dei diversi oggetti dello studio empirico in una prospettiva integrata, ritenuta la sola idonea a propiziarne una comprensione umana. Visione del crimine come entità mobile in quanto umana, posta al centro di un campo di forze costrittive e immobilizzanti generate dalla realtà normativa e sociale interna ed esterna al soggetto criminale. Umano è quindi prima di tutto lo studio criminologico intenzionato a preservare l’umanità del crimine dalle riduzioni perpetrate dalla giustizia penale.

La prospettiva per cui si manifesta la visione umana del crimine è portatrice di una carica critica nei confronti del diritto e in particolare del diritto penale vigente. Una sanzione estrema, la cui violenza incide sulla libertà e dignità umane non ha eguali tra gli strumenti di controllo sociale. La stessa ammissibilità di illeciti penali presuppone l’esistenza di comportamenti in relazione ai quali può e deve valere la pena di sacrificare prerogative umane tanto importanti ed essenziali. Umana vuole quindi definirsi una disciplina la cui vocazione sia quella di porre al centro della sua analisi tutti i disumani meccanismi di immobilizzazione della realtà umana messi in atto dal controllo e dunque dalla reazione sociale al crimine.

L’ipotesi teorica che assegna alla criminologia il compito di scrutare e liberare le mobilità umane inerenti all’intero fenomeno criminale non può fare a meno di identificare i meccanismi di immobilizzazione messi in atto con il crimine. Anche il crimine può essere infatti interpretato come scelta adottata per risolvere un problema di adattamento alla camaleontica mutabilità della realtà sociale. L’atto criminale con il suo carico di sofferenza diretta o indiretta ai danni di altri esseri umani, proprio in quanto vissuto da chi lo pone in essere come soluzione al problema dell’incertezza e dell’insicurezza può esprimere la disumanità del reo.

L’idea teologico-morale secondo cui quanto si fa agli altri lo si fa anche sempre a se stessi, diviene qui metro di comprensione della realtà criminale esprimendo un’idea di reversibilità delle relazioni causali. Il crimine diviene al contempo anche rivelazione della moderna contraddizione tra un apparato culturale che sollecita fortemente a farsi un’identità e il fatto di avere un’identità solidamente fondata e resistente e restarne in possesso per tutta la vita, si rivela un handicap piuttosto che un vantaggio poiché limita la possibilità di controllare in modo adeguato il proprio percorso esistenziale.

Il reo appare come un soggetto intento all’annullamento della sua vittima che minaccia di opacizzare l’illusoria saldezza della sua disumana identità. L’assenza di una adeguata riflessione in questo senso caratterizza la prospettiva di alcuni filoni teorici troppo inclini a indugiare o arrestarsi a condizioni del crimine localizzabili nella persona del reo o in gruppi primari. Vediamo così le teorie dette “del controllo sociale” attribuire un rilievo del tutto preponderante alla inefficace educazione dei figlio.

Analoga enfatizzazione del ruolo della famiglia è riscontrabile negli orientamenti riconducibili a quello che è stato detto il realismo di destra. La necessità di allargare al contesto sociale il campo di indagine dovrebbe indurre ad approfondire le condizioni individuali familiari e socio culturali che possano aver propiziato la scelta della soluzione criminale.

Si è rilevato come tra i fattori alla base della moderna esplosione quantitativa del crimine e della connessa emersione dei fenomeni di criminalità di massa ci siano gli influssi del progresso tecnologico e la conseguente perdita di identità della vittima. Se quello criminale può dunque considerarsi come un atto di negazione della libertà del sé e dell’altro, una criminologia umana dovrebbe interrogarsi sulle condizioni che possono sospingere verso una tale negazione.

La libertà implica il diritto dell’individuo a non essere ostacolato da altri nello svolgimento della sua attività e dunque si esprime come resistenza all’oppressione. Trattando del bene giuridico abbiamo sottolineato la necessità di affrontare nella prassi la questione di reale capacità del diritto penale di proteggere gli interessi rilevanti. L’apporto della criminologia può essere insostituibile: che sappia portare alla luce di volta in volta le condizioni umane necessarie perché gli esseri umani abbiano reale beneficio dalla tutela accordata ai loro beni.

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La concretizzazione del bene aggredito dall’atto criminale ci spinge a interrogarsi sulle reali inadempienze sociali nell’assicurare la libertà. La stessa comprensione del crimine propria di una criminologia umana non può escludere la possibilità che certe forme di criminalità esprimano una ribellione umana : reazione del reo.

 

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