Un dato di fondo riscontrabile nella storia della criminologia è la presenza di una successione di fasi teoriche che in parte essa si è lasciata alle spalle ma in parte ben più cospicua sono ancora del tutto compresenti e vitali nell’odierno dibattito scientifico.

A ciascuno degli atteggiamenti di fondo rispetto al fenomeno criminale che la realtà sociale tende ad esprimere fa riscontro una precisa visione politico-criminale così come ciascuna prospettiva politico criminale sulla reazione più adatta per fronteggiare il crimine tende a produrre una criminologia corrispondente. Un esempio è l’opera di Beccaria: Dei delitti e delle pene ha segnato l’atto di nascita della criminologia moderna e dunque della criminologia tout court.

In generale il lucido inquadramento di un fenomeno fino a quel momento quasi elusivamente sovraccarico di contenuti emotivi e irrazionali abbia permesso alla criminologia di superare l’ostacolo primordiale costituito da un’interpretazione in termini morali del proprio campo di ricerca e di compiere il primo passo verso una formulazione intellettuale oggettiva di tale campo. Beccaria tratta di problemi politico-criminali e in particolare delle condizioni cui gli ordinamenti penali avrebbero dovuto conformarsi per corrispondere alle nuove concezioni della giustizia penale, che stavano sorgendo dalle idee dell’illuminismo e dalla crescente forza del liberalismo.

Proiezione verso la riforma del diritto penale → il crimine ha cominciato a venire considerato anche in termini fattuali e oggettivi. La figura scientifica di Cesare Beccaria viene tradizionalmente associata al filone di pensiero che va sotto il nome di scuola liberale-classica → filone che trae origine e ispirazione dal clima culturale dell’illuminismo. Si tratta di mettere il luce i riflessi che la visione dei classici, così sensibile a quelle che oggi vengono dette le “garanzie” individuali, ha avuto sulla comprensione e penetrazione della realtà empirica del crimine.

Nella visione del mondo classica possiamo identificare prima di tutto l’origine e lo sbocco di quei principi di libertà di cui questo filone di pensiero ha rivendicato il riconoscimento da parte degli ordinamenti giuridici contemporanei: in essa capeggia l’idea di un uomo dotato di libero arbitrio, capace di scegliere le proprie azioni fino al punto di limitare la propria la propria stessa libertà con un contratto sociale. I penalisti della scuola liberale proclamano che i delinquenti dovrebbero essere puniti esclusivamente per ciò che hanno fatto in base al diritto penale vigente e non per ciò che sono o che possono diventare.

L’idea di una responsabilità penale per il fatto costituisce veramente la matrice culturale da cui discendono tutti gli altri principi liberali di garanzia. C’è l’idea che chi delinque non sia un diverso: proprio perché libero di scegliere il male, una volta cessato di commetterlo sulla base della stessa libertà di autodeterminazione che può aver ispirato la decisione di delinquere, non manifesterà alcun connotato differenziale rispetto al resto dei cittadini. Da una siffatta visione scaturisce una concezione retributiva: nasce la possibilità di muovere un rimprovero, di formulare un giudizio di colpevolezza da retribuire appunto con una sanzione penale.

Ai classici e più spiccatamente a Beccaria, non è estranea l’idea di una funzione preventiva della sanzione: idea che gli individui vengano trattenuti dal delinquere per mezzo della minaccia della pena. Si ha però un restringimento di prospettiva sulla realtà del crimine. Ciò che rimane fuori dalla visione dei classici è la prospettiva del reo. La realtà penale dei classici è quella del processo di cognizione → accertamento della responsabilità e irrogazione della sanzione. Sfugge largamente la possibilità di ricorrere a strumenti diversi rispetto alla pena tradizionale. In tale loro sorvolare, gli esponenti di questo filone sembrano rispecchiare anche un connotato di quello che in campo letterario è chiamato “il grande stile epico”.

 

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