L’art. 50 dispone che non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne (principio del volenti non fit iniuria).

In materia si pongono tre ordini di problemi:

  1. la natura del consenso.
  2. i limiti del consenso.
  3. la validità del consenso.

(1) Circa la controversa natura giuridica, il consenso non è un negozio, ma un mero atto giuridico, un permesso con cui si conferisce al destinatario un potere di agire, escludendo l’illiceità, senza che si crei alcun rapporto di diritti-obblighi. Tale consenso è sempre revocabile, eccetto i casi in cui l’attività consentita non possa essere arrestata se non ad esaurimento (es. trasporto aereo), e salva la responsabilità per eventuali danni.

(2) Circa i limiti, il consenso deve avere per oggetto:

  • un diritto, comunemente inteso nel senso di qualsiasi bene tutelato dalla norma penale.
  • un diritto disponibile, dato che il consenso scrimina solamente nei casi in cui lo Stato abbia un interesse condizionato al fatto che il titolare non abbia rinunciato ad esso.

Indisponibili sono i beni facenti capo allo (1) Stato (es. tutelati dai delitti contro la personalità dello Stato) e alla (2) collettività non personificata (es. tutelati dai delitti contro l’ordine pubblico). Circa i beni facenti capo ai (3) singoli, incontestabilmente disponibili sono i diritti patrimoniali, mentre dei diritti personalissimi:

  • assolutamente indisponibile è il diritto alla vita.
  • disponibili sono i diritti all’inviolabilità del domicilio e dei segreti privati.
  • (parzialmente) disponibili sono i diritti all’integrità fisica, alla libertà personale, alla libertà sessuale, all’onore, all’identità personale e alla dignità.

In forza del principio personalistico, tali diritti sono disponibili per limitazioni circoscritte e secondarie, ma non per la distruzione oppure per menomazioni irrevocabili o così gravi da diminuire in modo notevole la libertà o la dignità.

(3) Circa la validità del consenso, occorre che chi consente sia legittimato a consentire, ovvero che sia il titolare del bene protetto dalla norma.

Il legittimato a consentire, inoltre, deve avere la capacità di agire, per determinare la quale si fa riferimento al principio relativistico dell’età variabile a seconda dell’oggetto dell’atto dispositivo. Nei casi in cui la legge tace, quindi, anziché richiedersi solo la maggiore età, dovrà applicarsi per analogia il limite di età previsto per un’altra ipotesi simile, dovendosi altrimenti guardare alla sufficiente maturità del soggetto in rapporto al tipo e all’entità dell’atto dispositivo.

Il consenso, in particolare, deve essere:

  • effettivo, ossia non espresso né per scherzo né per simulazione.
  • libero, ossia non viziato da violenza, errore e dolo.
  • (se richiesto) spontaneo e informato.
  • attuale, ossia esistente al momento del fatto, e perdurante per la durata di questo.
  • determinato, anche se può essere riferito a persone indeterminate.

Tale consenso, inoltre, scrimina nei limiti in cui è concesso, potendo il soggetto delimitarne l’oggetto e l’ambito e porre termini, condizioni e modalità di lesione del bene.

Non viene, invece, richiesta alcuna particolare forma, essendo sufficiente che la volontà sia riconoscibili dall’esterno. Può quindi essere non solo espresso, ma anche tacito, ossia implicito nel comportamento univoco del soggetto. Mentre per parte della dottrina scrimina solo il consenso reale, per altra preferibile opinione rileva anche il consenso presunto, configurabile allorquando si possa ragionevolmente presumere che l’avente diritto avrebbe consentito se avesse potuto. Tale presunzione, tuttavia, deve essere fondata sull’analogia dell’art. 50, limitatamente ai casi non rientranti nell’art. 2028, e sempre che vi sia ravvisabile la eadem ratio dell’abbandono del proprio interesse.

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