Tale reato è previsto dall’art. 627, che punisce il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, si impossessa della cosa comune sottraendola a chi la detiene (co. 1). L’art. 627 co. 2, tuttavia, prevede che non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di esse non eccede la quota a lui spettante . La ratio della norma deve essere chiaramente individuata nella minore dannosità del fatto, essendo la cosa in parte anche di proprietà dell’autore della sottrazione.

Tralasciando gli elementi comuni con il furto, occorre soffermarsi su quelli specifici di tale reato:

  • il soggetto attivo è il comproprietario, il socio o coerede (reato proprio). Una dottrina minoritaria cosiddetta estensiva considera soggetto attivo anche il titolare di un qualsiasi tipo di comunione (es. usufruttuario). A favore della tesi maggioritaria, tuttavia, militano molteplici elementi, primo tra tutti la tassativa enunciazione legislativa dei soggetti attivi ed il significato tecnico dei suddetti termini.

Essendo piuttosto agevoli le definizioni di comproprietario e di coerede, occorre soltanto specificare che, ai presenti fini, si fa esclusivamente riferimento al socio di società di persone o, comunque, sfornite di personalità giuridica: solo in tali società, infatti, i soci restano comproprietari della cosa;

  • il presupposto positivoanche del presente reato è la detenzione altrui, nel senso precisato di altrui disponibilità materiale della cosa. Si ha sottrazione di cosa comune, quindi, nel triplice caso che la cosa comune sia:
    • detenuta da terzi;
    • detenuta da altro comproprietario, socio o coerede;
    • condetenuta dall’agente con un altro comproprietario;
  • l’oggetto materialeè la cosa:
    • mobile, desumendosi questo requisito implicito dal concetto di sottrazione ;
    • comune, nel senso precisato;
    • infungibile, anche se di valore non eccedente la quota spettante all’agente, oppure fungibile, se di valore eccedente tale quota (art. 627 co. 2). Circa la discussa natura giuridica di tale limitazione, si tratta semplicemente della formulazione autonoma e in negativo di un requisito tipico della fattispecie legale: come non è configurabile il furto di cosa propria, infatti, parimenti il legislatore ha ritenuto non configurabile la sottrazione di cosa comune fungibile nei limiti di quota, essendo gli altri soggetti offesi non nel loro essenziale diritto patrimoniale;
    • circa l’elemento soggettivo, il dolo specifico richiede la consapevolezza che la cosa sia comune, fungibile e non eccedente la quota.

Occorre sottolineare che la sottrazione di cosa comune con violenza o minaccia rientra nel reato di rapina, e questo perché:

  • il ricorso alla violenza, attribuendo al fatto un particolare disvalore oggettivo e soggettivo, compensa la minore offensività patrimoniale e, quindi, annulla la ragione del benevolo trattamento;
  • l’art. 627 esaurisce la propria funzione limitatrice rispetto al solo furto;
  • il concetto di altruità della cosa, ai fini della rapina, abbraccia anche le cose che, ai fini dell’art. 627, sono considerate comuni.

Trattamento sanzionatorio: il reato, perseguibile a querela (l. n. 689 del 1981), è punito:

  • con la reclusione fino a 2 anni o con la multa da € 20 a 206;
  • con la multa da € 258 a 2582 o con la permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni o col lavoro di pubblica utilità da 10 giorni a 3 mesi, in seguito all’attribuzione del delitto alla competenza del giudice di pace (d.lgs. n. 274 del 2000).
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