I delitti sessuali sono attualmente previsti nel codice negli artt. Da 609 bis a 609 decies, nel titolo XII del II libro “delitti contro la persona”. Tali articoli non figuravano nell’edizione originaria del codice del 1930. La materia era infatti disciplinata negli artt. 519 e ss. ed era collocata nel titolo IX intitolato “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”.

La modifica è avvenuta con la L. 15 febbraio 1996 n. 66 che ha modificato profondamente i modelli di illecito e la loro disciplina. L’art. 1 della legge ha abrogato il capo I del titolo IX del libro II e gli artt. 530, 539, 541, 542, 543. L’art. 2 della legge ha invece inserito gli artt. Da 609 bis a 609 decies.

I delitti sessuali erano, nel codice penale del 1889, configurati nel titolo VIII, “delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie” costituito da 7 capi.

1° capo (artt. 331 – 339) = delitti di violenza carnale, atti di libidine e violenti, corruzione di minorenni, incesto, atti osceni in luogo pubblico.

2° capo (artt. 340 – 344) = delitti di ratto per fine di libidine.

3° capo (345 – 348) = induzione e costrizione alla prostituzione.

4° capo (349 – 352) = varie disposizioni comuni ai delitti precedentemente descritti.

5° capo (353 – 358) = adulterio e concubinato.

6° capo (359 – 360) = delitto di bigamia.

7° capo (361 – 369) = supposizione e soppressione di stato.

Come si può notare il titolo VIII conteneva al proprio interno fattispecie tra loro eterogenee, e altrettanto evidente è che il motivo sessuale non può essere considerato il filo conduttore.

Il fatto però che il legislatore abbia usato come parametri di riferimento il buon costume e l’ordine familiare, può giustificare anche i più incomprensibili accostamenti.

E infatti erano proprio questi due i valori che, sul finire dell’ottocento, facevano crollare le differenze profonde tra le condotte costitutive dei diversi reati. Tutto ciò trova riscontro nella Relazione ministeriale al progetto del 1887, che giustifica la classificazione in un unico titolo dei reati sopra richiamati. E Manzini nel 1889 spiegava che buon costume e ordine delle famiglie “sono beni giuridici essenziali della civile società”.  Definì il buon costume come l’osservanza di quei limiti necessari per la libertà, sicurezza e moralità dei rapporti sessuali, la cui violazione colpisce sempre di riflesso l’ordine familiare. L’ ordine delle famiglie è il complesso di norme che tendono ad assicurare la moralità sessuale nelle famiglie.

egli riteneva inoltre che la legge li ha catalogati insieme per “l’inscindibilità degli effetti”. La posizione del singolo individuo (titolare di beni personalissimi) è così assorbita da: un oggetto generico della tutela penale (interesse sociale di assicurare l’inviolabilità carnale della persona) e un oggetto specifico (interesse pubblico di assicurare il bene giuridico individuale dall’inviolabilità carnale della persona). Secondo questa impostazione, la tutela accordata all’individuo era di secondo grado, perché primaria era l’interesse sociale alla protezione del bene.

Il codice del 1889 divideva poi tra violenza carnale e atti di libidine violenti. Per violenza carnale si intendeva chiunque con violenza o minaccia avesse costretto una persona dell’uno o dell’altro sesso a congiunzione carnale. Per atti di libidine violenti si intendeva chiunque con violenza o minaccia avesse commesso su una persona dell’uno o dell’altro sesso atti di libidine non diretti a commettere il delitto di violenza carnale.

Oggi è diffusa l’opinione di chi contesta che possano esistere fattispecie differenziate e di diversa gravità. In realtà è difficile disconoscere che una differenza notevole ci sia tra chi tocca fugacemente una parte erogena del corpo altrui, e chi invece con violenza penetra con il proprio organo nel corpo altrui. Non era sufficiente, poi, il semplice dissenso della persona offesa, ma occorreva violenza o minaccia.

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