Per mutilazioni dei genitali femminili si intendono tutte le pratiche che comportino la rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili, compiute per motivazioni culturali o altre motivazioni non terapeutiche .

La legge, accanto ad una normativa volta alla prevenzione di tali pratiche e all’assistenza ed alla riabilitazione delle donne mutilate, prevede due fattispecie delittuose:

  • il primo delitto consiste nel fatto di chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili . Si intendono come pratiche di mutilazione degli organi femminili la clitorectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo (art. 583 bisco. 1):
    • il soggetto attivo è chiunque (reato comune), anche se di fatto le mutilazioni sono effettuate da specifici operatori, sanitari o meno;
    • il soggetto passivo è la donna, a prescindere dalla sua maggiore o minore età;
    • circa l’elemento oggettivo, presupposto negativo della condotta è l’assenza di esigenze terapeutiche, le quali ricorrono, escludendo così la tipicità del fatto, quando le mutilazioni sono effettuate nell’interesse della salute della donna (es. prevenire una malattia). La condotta consiste nella mutilazione degli organi genitali femminili, comprendendo, secondo l’espresso disposto legislativo, quattro pratiche mutilatorie:
      • la clitorectomia, ossia l’ablazione totale o parziale del clitoride;
      • l’escissione, ossia l’ablazione del clitoride e delle piccole labbra;
      • l’infibulazione, ossia l’ablazione totale o parziale del clitoride, delle piccole labbra e della superficie interna delle grandi labbra e la cucitura della vulva con soltanto una stretta apertura vaginale;
      • qualsiasi altra pratica cagionante effetti dello stesso tipo, ossia una menomazione permanente della funzionalità sessuale operata attraverso modalità diverse dalle tre suddette (es. cauterizzazione mediante ustione del clitoride);
  • circa l’elemento soggettivo, si tratta di un reato a dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di cagionare una mutilazione genitale femminile e nella consapevolezza dell’assenza di esigenze terapeutiche;
  • l’oggetto materiale della condotta sono gli organi genitali femminili esterni (es. piccole labbra) e non quelli interni (es. utero);
  • l’oggetto giuridico è il triplice bene dell’incolumità individuale (art. 32 Cost.), della dignità della donna (art. 2 Cost.) e del diritto del minore ad uno sviluppo armonico della propria personalità (artt. 13 e 29 Conv. Sui diritti del fanciullo);
  • l’evento consiste nella mutilazione genitale femminile, che deve comportare, data la severità della pena, una diminuzione non solo anatomica ma anche funzionale dell’apparato genitale.
  • il secondo delitto consiste nel fatto di chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate nel primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente (art. 583 bis co. 2). Rinviando a quanto detto rispetto al primo reato circa gli elementi comuni, occorre precisare che:
    • la condotta consiste nelle attività lesive degli organi genitali femminili diverse da quelle indicate nell’art. 583 bis co. 1 e, quindi, nelle lesioni menomatrici della funzionalità sessuale non permanenti;
    • l’evento consiste nella provocata malattia nel corpo o nella mente senza il suddetto effetto permanente (es. emorragie, processi infiammatori);
    • circa l’elemento soggettivo, si tratta di dolo specifico, essendo richiesto non solo la coscienza e la volontà di provocare lesioni diverse da quelle previste dall’art. 583 bis co. 1, ma anche il fine di menomare le funzioni sessuale;
    • la perfezione si ha nel momento e nel luogo della verificata malattia e il tentativo, come per il precedente delitto, è sempre configurabile.

Le suddette pratiche non possono essere scriminate:

  • dal consenso dell’avente diritto per la duplice ragione che:
    • tale consenso non scrimina, stante i limiti dell’art. 5 c.c., né le mutilazioni (art. 583 bis co. 1) né le lesioni (co. 2);
    • i genitori possono validamente consentire soltanto agli interventi utili per le figlie minori;
    • dall’esercizio di un diritto per la duplice ragione che:
      • un diritto di praticare le mutilazioni non è previsto da alcuna espressa disposizione di legge né scaturisce da una consuetudine;
      • tali pratiche non possono considerarsi neppure esercizio del diritto dei genitori di istruire ed educare i figli secondo le proprie convinzioni religione, dal momento che esse hanno un fondamento non religioso ma culturale tribale (differenza rispetto alla circoncisione ebraica).

Sono previste:

  • per entrambi i delitti le due circostanze aggravanti del fatto commesso (art. 583 bisco. 3):
    • a danno di un minore;
    • per fini di lucro, ossia per un vantaggio patrimoniale;
    • per il secondo dei delitti, la circostanza attenuante se la lesione è di lieve entità, ossia se ha provocato una malattia di durata non superiore ai 40 giorni e nessuno degli eventi aggravatori previsti dall’art. 583.

Trattamento sanzionatorio:

  • i delitti di cui all’art. 583 bis co. 1 e 2, perseguibili di ufficio, sono puniti con la reclusione, rispettivamente, da 4 a 12 anni e da 3 a 7 anni, e nelle ipotesi aggravate con l’aumento fisso di 1/3 delle suddette pene;
  • il delitto dell’art. 583 bis co. 2, nell’ipotesi attenuata, è punito con al riduzione fino a 2/3 della suddetta pena.
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