Il codice prevede cinque delitti puniti tutti con la stessa pena:

  1. riduzione e mantenimento in schiavitù (art. 600);
  2. riduzione e mantenimento in servitù;
  3. tratta di persone in schiavitù o servitù (art. 601);
  4. costrizione ad entrare, soggiornare od uscire dal territorio dello Stato al fine di commettere i delitti di schiavitù o servitù;
  5. acquisto o alienazione di schiavi (art. 602).

Come la storia insegna, schiavitù e condizioni analoghe possono essere:

  • di diritto, allorché esse siano giuridicamente legittimate sulla base di una norma scritta o consuetudinaria o di una dissuetudine, abrogativa di una norma.

Lo schiavo di diritto, in particolare, divenendo oggetto di proprietà al pari delle res inanimate, perde, assieme alla libertà di decidere della propria vita, la capacità giuridica connessa alla qualità di uomo;

  • di fatto, allorché le situazioni, materialmente rispondenti a quelle degli istituti giuridici della schiavitù e della condizione analoga, vengo realizzate sine iure o contra ius.

I cinque delitti sopraindicati sono stati introdotti dalla l. n. 228 del 2003, con il triplice scopo:

  • di adeguare la nostra legislazione alla Convenzione di Ginevra (1956) e ai successivi documenti internazionale relativi a tale ambito (es. Convenzione di Palermo);
  • di operare una più puntuale tassativizzazione delle fattispecie e di superare la distinzione tra schiavitù di diritto e di fatto e le carenza e le problematiche degli abrogati delitti precedenti;
  • di contrastare più efficacemente i moderni traffici schiavizzanti, gestiti anche dalla criminalità organizzata transnazionale.
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