La corsa all’accaparramento delle risorse ha determinato la tendenza degli Stati costieri ad estendere il proprio controllo oltre il mare territoriale e comunque oltre le acque adiacenti alle coste. Tale tendenza si è risolta nella generale accettazione:

  • della dottrina della piattaforma continentale, enunciata per la prima volta dal Presidente americano Truman nel 1945 e trasfusa successivamente nella Convenzione di Montego Bay. Ferma restando la libertà di tutti gli Stati di utilizzare le acque e lo spazio atmosferico (art. 78 della Convenzione), lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfruttare tutte le risorse della piattaforma (art. 77), intesa come quella parte del suolo marino contiguo alle coste che costituisce il naturale prolungamento della terra emersa e che pertanto si mantiene ad una profondità costante (ca. 200 metri) per poi precipitare o degradare negli abissi. Il diritto sulla piattaforma continentale ha natura funzionale: lo Stato costiero, infatti, può esercitare il proprio potere di governo non genericamente ma solo nella misura strettamente necessaria per controllare e sfruttare le risorse della piattaforma.

Un problema molto importante è quello della delimitazione della piattaforma tra Stati che si fronteggiano (es. mare Adriatico) o tra Stati contigui. L’art. 6 della Convenzione di Ginevra stabiliva che sia nel caso di delimitazione frontale che in quello di delimitazione laterale dovesse ricorrersi al criterio dell’equidistanza. A detta della Corte internazionale di Giustizia, il criterio dell’equidistanza non è imposto dal diritto consuetudinario e quindi la delimitazione può essere effettuata soltanto mediante un accordo tra gli Stati interessati, ispirato a principi di equità (criteri pratici ma non vincolanti). Prima della conclusione dell’accordo, di conseguenza, nessuno Stato può pretendere l’uso esclusivo delle zone di piattaforma controverse;

  • dell’istituto della zona economica esclusiva, affermato nella prassi fin dall’epoca della Terza Conferenza sul diritto del mare nel 1973, e quindi ancor prima dell’adozione del testo definitivo della Convenzione di Montego Bay (artt. 55 ss.). La zona economica può estendersi fino a 200 miglia marine (limite esterno), entro le quali lo Stato costiero ha il controllo esclusivo su tutte le risorse economiche della zona, sia del suolo e del sottosuolo sia delle acque sovrastanti.

L’opinione difesa dalle Potenze di tradizione marittima è che l’attribuzione delle risorse allo Stato costiero non debba pregiudicare la partecipazione degli altri Stati alle altre possibili utilizzazioni della zona. Esiste però un notevole contrasto in ordine a quella che potrebbe chiamarsi la gerarchia delle regole applicabili:

  • da un lato si sostiene che il vecchio principio della libertà dei mari debba continuare ad essere la regola, come tale applicabile anche ai casi dubbi;
  • dall’altro si ritiene che i poteri dello Stato costiero siano la regola e le libertà degli altri Stati l’eccezione.

Risulta quindi piuttosto difficile inquadrare la situazione degli altri Stati nella zona economica in termini di libertà dei mari. Quello che possiamo dire, tuttavia, è che nella zona economica non vi è prevalenza di una regola sulle altre: si tratta infatti di un regime che non è improntato né alla libertà di tutti gli Stati né alla sovranità dello Stato costiero. I diritti hanno carattere funzionale, nel senso che all’uno e agli altri sono consentite soltanto quelle attività indispensabili rispettivamente allo sfruttamento delle risorse e alle comunicazioni e ai traffici marittimi ed aerei.

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