La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo formula l’alternativa tra il modello di democrazia diretta e quella propriamente rappresentativa, fondata sull’elezione di rappresentanti liberamente scelti. In entrambi i casi l’autorità pubblica di uno Stato contemporaneo deve poggiare in modo determinante sulla volta del popolo quale titolare della sovranità politica.

Oggi si impone un generale obbligo di rispettare la democrazia rappresentativa, per il diffuso convincimento di considerare questa forma costituzionale la sola autentica espressione di autodeterminazione interna del popolo. Ma tale principio non ancora riscosso un consenso per così dire universale: lo dimostra l’esperienza della Cina popolare, il cui regime costituzionale resta formalmente socialista. È compatibile con il diritto internazionale il ricorso a strumenti premiali per promuovere il diritto alla democrazia rappresentativa.

Gli Stati Uniti subordinano ad esempio la loro assistenza economica ai paesi in via di sviluppo al rispetto di questo modello costituzionale. Per quanto il diritto internazionale lasci ampi margini di apprezzamento sul piano costituzionale vi sono taluni requisiti minimi da rispettare, da parte dello Stato, per rendere effettivo il diritto alla democrazia. Anzitutto la segretezza del voto e la pluralità di opzioni elettorali (viene richiesto il suffragio universale degli adulti, per esempio).

Ancora, il rispetto della democrazia rappresentativa trova conforto nel principio della conservazione dei valori che considera illecita la rottura di questa forma costituzionale. La cosiddetta dottrina Tobar escludeva il riconoscimento di governi formatisi per effetto di un colpo di Stato. A garanzia del principio di conservazione dei valori, la democrazia va difesa contro ogni tentativo eversivo.

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