Limiti internazionali al diritto di autodeterminazione interna

Ogni Stato dotato di una costituzione deve conciliare il proprio diritto di autodeterminazione interna con le regole del diritto internazionale. Tale coordinamento non era concepito dal pensiero illuminista e tale situazione si protrasse fino a quando, durante la guerra fredda, la scelta compiuta da uno strato di aderire ad un’alleanza politico-militare non rese in qualche modo impossibile la modifica della sua forma costituzionale.

Contemporaneamente la società internazionale cominciava ad esprimere i propri valori unitari in materia costituzionale, come il divieto di discriminazione razziale sancito dalla carta dell’Onu, che si imponevano come regole di natura imperativa anche nei rapporti tra cittadini dello stesso stato. Questa incidenza del diritto internazionale in materia costituzionale, soprattutto con riferimento ai diritti civili e politici degli individui, ha fatto sì che lo Stato che sia destinatario di tali obblighi deve per forza di cose dotarsi di una buona costituzione che li rispetti.

Più evidente è l’impatto del diritto internazionale in situazioni nelle quali la sovranità statale è claudicante, come nelle ipotesi di occupazione bellica che impongono all’autorità occupante di rispettare l’ordinamento giuridico statale. In questo caso il principio di conservazione dei valori viene derogato in quanto l’autorità occupante è comunque tenuta ad osservare i propri obblighi internazionali a tutela dei diritti umani. Sempre più frequenti sono poi le operazioni di ricostruzione dello Stato (State-building) nei paesi sconvolti da guerre civili: la società internazionale, privilegiando l’azione dell’Onu, promuove un nuovo assetto costituzionale che coinvolge anche organizzazioni non governative per operare nel tessuto sociale del paese.

La tutela internazionale delle minoranze nazionali e delle popolazioni indigene

Il diritto internazionale odierno si occupa di proteggere l’individuo nei confronti del proprio Stato; alcune norme convenzionali (patti delle Nazioni Unite sui diritti umani, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, etc.) obbligano gli Stati a tutelare i diritti fondamentali dell’uomo; spesso l’individuo può ricorrere, se non vede riconosciuto il proprio diritto, ad organi internazionali appositamente creati (è il caso ad es. della Corte europea dei diritti dell’uomo).

Anche il diritto consuetudinario fornisce materia per sostenere la personalità internazionale degli individui: si pensi ai c.d. crimina iuris gentium, categoria in cui si fanno rientrare tra l’altro i crimini di guerra e contro la pace e la sicurezza dell’umanità.

La tesi che promuove l’individuo a soggetto di diritto nell’ambito della comunità degli Stati non è da tutti accolta.

Numerose sono anche le norme internazionali che tutelano le minoranze etniche; ma non sembra che con ciò anche le minoranze assurgano a soggetti di diritto internazionale.

La tutela internazionale delle formazioni collettive: confessioni religiose e associazioni sindacali

Il diritto internazionale vuole assicurati spazi di libertà ed autonomia a gruppi sociali portatori di interessi meritevoli di tutela. Ne è un esempio il rispetto della libertà religiosa, enunciato nel trattato di Berlino del 1878 il riflesso dalle attuali regole sulla tutela dei diritti umani; non che la regolamentazione della libertà di associazione sindacale. Per entrambi questi diritti la normativa internazionale assicura una “libertà negativa” (di non associarsi o di abbandonare l’associazione di cui si era parte), nonché l’esercizio collettivo di queste attività associative (attraverso la garanzia della circolazione di opinioni e informazioni, della libertà di riunione e di elezione e della possibilità di adire gli organismi internazionali di tutela).

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