La recente codificazione del diritto internazionale privato non ha disciplinato il fallimento internazionale.

Dato il modo di disporre dell’art. 9 della legge fallimentare (r.d. 16.6.1942, n. 267, come modificato dal decr. l.vo 9.1.2004, n. 5 e 12.9.2007, n. 169) l’omissione rileva soprattutto per il riconoscimento delle sentenze; tuttavia essa crea qualche problema anche per la giurisdizione.

L’art. 9 L. fall, dispone:

Il fallimento è dichiarato dal tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa.

Il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza.

L’imprenditore, che ha all’estero la sede principale dell’impresa, può essere dichiarato fallito nella repubblica italiana anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all’estero.

Sono fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell’Unione europea.

Il trasferimento della sede dell’impresa all’estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana, se è avvenuto dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 6 olà presentazione della richiesta di cui all’articolo 7.

È chiaro che la norma si applica anche al fallimento avente connessioni internazionali, sempreché sussistano i presupposti stabiliti dalla legge per la dichiarazione di fallimento.

Premesso che l’ultimo comma dell’art. 9 si limita a ribadire il principio della perpetuatio iurisdtctionis, i problemi si sono posti in relazione:

— alla rilevanza della litispendenza internazionale perché l’art. 9 L. fall, prevede la possibilità di dichiarare il fallimento in Italia anche successivamente ad una dichiarazione di fallimento dello stesso imprenditore all’estero, laddove l’art. 7 della L. n. 218/1995 stabilisce la sospensione del procedimento civile iniziato in Italia se viene eccepita “‘la previa pendenza tra le stesse parti di domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi ad un giudice straniero la cui decisione sia suscettibile di riconoscimento in Italia;

— al riconoscimento automatico delle sentenze straniere, dal momento che l’art. 9 L. fall, consente di dichiarare il fallimento di un soggetto già sottoposto a procedura concorsuale all’estero senza tener conto della decisione straniera.

La soluzione preferibile circoscrive la giurisdizione italiana, quando concorre con il fallimento estero, all’insolvenza di una sede secondaria italiana dell’impresa estera.

Dopo una lunga gestazione, la CE ha elaborato il regolamento comunitario 1346/2000.

Il regolamento si applica esclusivamente si applica solo nel caso in cui il centro degli interessi principali del debitore sia localizzato all’interno del territorio comunitario.

La procedura concorsuale deve essere fondata su

insolvenza del debitore

spossessamento totale o parziale

nomina di un curatore o di un commissario

Una volta aperta una procedura principale, è possibile aprire procedure secondarie in Stati diversi a condizione che in essi si trovi una dipendenza, da identificarsi con “qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un’attività economica con mezzi umani e con beni”. Le procedure secondarie, a differenza delle procedure principali, riguardano esclusivamente i beni presenti nello Stato in questione.

Esiste poi una procedura territoriale, aperta nello Stato in cui il debitore ha una dipendenza prima dell’apertura di una procedura principale. Essa è limitata ai beni presenti nel territorio dello Stato di apertura e, a differenza della procedura secondaria, non ha obbligatoriamente carattere liquidatorio.

Il regolamento prevede, inoltre, una specifica disciplina relativa ai diritti dei creditori che devono essere informati, senza ritardo, dell’apertura di una procedura di insolvenza e possono insinuare il proprio credito nella procedura principale o in qualsiasi procedura secondaria.

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