La procedura di fallimento si chiude nelle seguenti ipotesi:
a) ripartizione finale dell’attivo (in questo caso infatti si compie l’oggetto della esecuzione concorsuale)
b) avvenuta estinzione di tutti i debiti (in questo caso di determina infatti il venir meno della ragione della procedura concorsuale)
c) mancata proposizione delle domande di ammissione al passivo nel termine stabilito. In questo caso, in mancanza di concorso, viene meno la ragione della procedura concorsuale. Questa ipotesi non va confusa con quella di mancanza di creditori in quanto in questo caso deve essere disposta non la chiusura ma la revoca del fallimento.
d) insufficienza dell’attivo. Tale ipotesi si ha quando nel corso della procedura viene accertato che essa non sarebbe in grado di soddisfare neanche parzialmente i creditori chirografari, prededucibili e le spese di procedura.
La chiusura del fallimento deve essere dichiarata dal tribunale con decreto, contro il quale è ammesso reclamo alla corte di appello contro il quale è ammesso il ricorso in cassazione. Il decreto di chiusura ha efficacia dal momento in cui è decorso il termine per il reclamo o esso è stato definitivamente rigettato.
Il concordato fallimentare
Una particolare forma di chiusura della procedura di fallimento è costituita dal concordato fallimentare. Il concordato fallimentare non va confuso con quegli accordi extragiudiziali che il fallito può concludere con tutti i creditori, i quali possono comportare la chiusura del fallimento ma non costituiscono concordato, in quanto il concordato richiede sia un accordo con i creditori che un provvedimento giurisdizionale di omologazione Tale procedura è stata profondamente rinnovata dalla riforma che, riconoscendo un più ampio ruolo agli interessi privati nel fallimento, ha ridotto la funzione del giudice delegato il quale ha solo il compito di verificare la regolarità della procedura essendo escluso ogni suo controllo nel merito. Per tale motivo dopo la riforma il provvedimento di omologazione del concordato viene assunto con decreto e non più con sentenza.
Il concordato fallimentare è una proposta, avanzata dal fallito, da uno o più creditori, o da un terzo (tra cui anche il curatore) con la quale il proponente paga in percentuale o per intero i debiti del fallito acquistando in cambio i beni costituenti l’attivo fallimentare. Colui che propone il concordato deve presentare idonee garanzie per la soddisfazione dei crediti nei limiti della proposta fatta, nonché per il pagamento delle spese di procedura e del compenso del curatore.
La proposta di concordato può attuarsi in una forma particolare quando il terzo che formula la proposta libera immediatamente il fallito (in questo caso si dice che il terzo è assuntore del concordato). In questo caso infatti alla omologazione del concordato segue l’immediata liberazione del fallito con la conseguenza che le obbligazioni nascenti dal concordato riguardano solo l’assuntore e non possono determinare in nessun modo la riapertura del fallimento.
Inoltre la proposta, qualora sia presentata da uno o più creditori, può riguardare non solo la massa dell’attivo ma anche le azioni di massa già autorizzate dal giudice delegato: in tal caso si ha la cessione delle azioni revocatorie e quindi il terzo, assumendosene i rischi, viene a svolgere i compiti liquidatori tipici della procedura fallimentare. La proposta di concordato viene presentata con ricorso al giudice delegato il quale deve acquisire il parere favorevole del curatore e deve sottoporla all’approvazione del comitato dei creditori. Il concordato riguarda essenzialmente i creditori chirografari dovendo essere i creditori privilegiati soddisfatti per intero.
Tuttavia la proposta di concordato può prevedere la soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati e in questo caso anche questi sono ammessi a dare adesione al concordato e considerati nel calcolo della maggioranza in quanto sono considerati creditori chirografari per la parte residua del credito. Per l’approvazione della proposta di concordato occorre il voto favorevole della maggioranza dei creditori. Nel caso sia raggiunta la maggioranza richiesta il giudice delegato effettua comunicazione al proponente affinchè possa chiedere l’omologazione al tribunale, al fallito e ai creditori dissenzienti per la proposizione di eventuali opposizioni alla omologazione.
In mancanza di opposizione il tribunale, verificata la regolarità della procedura, omologa il concordato con decreto motivato. Il decreto che omologa il concordato è appellabile davanti alla corte di appello entro 30 giorni dalla notificazione. Contro il decreto della corte di appello è ammesso ricorso in cassazione entro 30 giorni. Una volta definitivo il decreto di omologazione la proposta di concordato diviene efficace e il tribunale dichiara chiuso il fallimento. Tuttavia se le garanzie promesse dal proponente non vengono costituite o se gli obblighi fissati nel concordato non vengono eseguiti il tribunale, su richiesta di qualsiasi creditore, pronuncia la risoluzione del concordato e riapre la procedura di fallimento (salvo il caso in cui il proponente sia assuntore).
Nel caso in cui invece il passivo sia stato dolosamente esagerato o sia stata sottratta una parte rilevante dell’attivo il curatore o i creditori possono chiedere l’annullamento del concordato con la riapertura del fallimento. Il concordato ha efficacia sia nei confronti dei creditori che siano stati ammessi al passivo e sia nei confronti degli altri creditori, anteriori alla dichiarazione di fallimento che non abbiano presentato domanda di ammissione al passivo. Questi ultimi però potranno pretendere dal proponente solo il pagamento nei limiti previsti nella proposta di concordato.