La procedura di fallimento può essere riaperta nei seguenti casi:

a) in conseguenza della risoluzione o annullamento del concordato fallimentare

b) quando, non essendo stati totalmente soddisfatti i creditori, pervengano nel patrimonio del fallito altre attività che rendano utile il provvedimento.

La sentenza che dichiara la riapertura del fallimento richiama in funzione il giudice delegato o ne nomina uno nuovo e fissa i termini per le domande di ammissione al passivo. Il procedimento si svolge con le forme già descritte. La riapertura del fallimento deve essere considerata come una continuazione del fallimento precedente con la differenza che ad essa partecipano anche i creditori nuovi, i cui diritti siano sorti dopo la chiusura del fallimento. In tal modo i vecchi creditori beneficiano delle nuove attività ma devono subire l’onere del concorso dei nuovi creditori.

La esdebitazione

La chiusura del fallimento determina il venir meno degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e delle conseguenti incapacità patrimoniali. Tuttavia i creditori singoli del fallito riacquistano piena libertà di azione per la realizzazione della parte non soddisfatta dei loro crediti e quindi possono esercitare l’azione revocatoria ordinaria prevista dal codice civile. E’ ovvio che tale situazione determina per il fallito un grave ostacolo per la possibilità di intraprendere una nuova attività economica in quanto i guadagni realizzati con essa possono essere aggrediti anche dai creditori precedenti al fallimento.

Per tale motivo e quindi per liberare l’imprenditore fallito dai vincoli posti alla sua azione economica futura dal precedente fallimento la legge prevede l’istituzione della esdebitazione. Tale istituto, prima della riforma, era previsto solo per le ipotesi di concordato fallimentare e di concordato preventivo, ma ora è stato generalizzato. Grazie a tale istituto (che è applicabile solo al fallito persona fisica e non società) il fallito viene liberato sia dai creditori concorsuali concorrenti non soddisfatti ( e cioè da tutti i creditori ammessi al passivo) sia dai creditori concorsuali non concorrenti (ossia quelli che non hanno fatto domanda di ammissione al passivo).

Questi ultimi potranno pretendere solo il pagamento nei limiti della percentuale pagata ai creditori concorsuali. La concessione di tale beneficio presuppone la presenza di requisiti sia relativi alla persona del fallito che al tipo di credito su cui l’istituto stesso deve operare. Per quanto riguarda il primo aspetto l’esdebitazione può essere concessa solo al fallito che nel corso della procedura abbia cooperato con gli organi del fallimento, non abbia ritardato lo svolgimento della procedura, abbia consegnato l’intera documentazione al curatore, non sia stato condannato per reati di bancarotta fraudolenta, abbia soddisfatto almeno in parte i creditori ammessi al passivo e non abbia beneficiato dell’esdebitazione nei 10 anni precedenti alla richiesta.

Per quanto riguarda il secondo aspetto la legge esclude dalla esdebitazione gli obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti non derivanti dall’esercizio dell’impresa o per il risarcimento di danni derivanti da illecito extracontrattuale. La esdebitazione viene pronunciata con decreto del tribunale compreso nel decreto di chiusura del fallimento o con decreto autonomo entro l’anno successivo su richiesta del fallito. Essa deve essere notificata ai creditori non integralmente soddisfatti. Contro il decreto è ammesso reclamo da parte di qualunque interessato.

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