Ogni libertà deve adattarsi:

  • alle esigenze di coesistenza delle libertà;
  • alle esigenze di un ordine sociale politicamente determinato.

Di modo che non è concepibile un diritto fondamentale che non sia necessariamente limitato: in caso contrario, da una parte si creerebbero conflitti insanabili e si renderebbe difficile la convivenza, dall’altra si porrebbe in pericolo la stessa saldezza di quell’ordinamento giuridico che serve proprio a consentire l’ordinato esercizio delle libertà.

Si capisce allora la delicatezza e la rischiosità dell’apposizione legali di limiti alle libertà, sol che si pensi alle conseguenze. Il problema si pone allora:

a) di legittimità o meno di provvedimenti dell’autorità amministrativa che richiamandosi alle regole limitatrici impediscano o vietino il compimento di attività che l’agente ritiene espressione di libertà religiosa;

b) di giustizia o meno di sentenze penali che, sul presupposto della violazione di regole limitatrici, configurino come reato le attività che abbiano ecceduto quei limiti, ma che l’agente ritiene esenti da quei limiti proprio perché espressione di libertà religiosa.

È possibile stabilire preventivamente le esigenze individuali e sociali che giustificano l’apposizione di limiti alla libertà?

I limiti di una libertà giusta non sono facilmente definibili né in teoria, né in pratica: le frontiere vanno poste, ma si tratta di “frontiere mobili”, nel senso che non possono essere rigidamente definite una volta per tutte, ma sono destinate a scontare la prevalenza dell’una o dell’altra ideologia. Si spiega perché la nostra Costituzione, ad esempio, si mantenga molto prudente e nulla indichi al riguardo, tranne la poco realistica o almeno troppo marginale ipotesi della contrarietà dei riti al buon costume.

In sostanza, vale come criterio giustificatore di limiti, quello della presenza di altri beni, individuali e collettivi, costituzionalmente rilevanti; ma si tratta di un paradigma estremamente elastico.

La doverosa non interferenza del potere pubblico vale finché le attività attraverso cui si professa e si propaganda la fede non si traducano in un illecito penale, perché allora, in linea di principio, sull’esigenza di libertà prevale l’esigenza di tutela dei beni giuridici offesi dal comportamento illecito. Fatto sta che bisogna tener conto della scriminante di cui all’art. 51 c.p., secondo cui “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica, o da un ordine della pubblica autorità, esclude la punibilità”. Per cui l’attività illecita commessa nell’esercizio del diritto di libertà religiosa non sarà punibile solo se, nella prudente valutazione del giudice, il bene offeso da tale comportamento è di valore pari od inferiore a quello che la legge penale vuole difendere da aggressioni. Se tale bene appare di valore superiore il reato è punibile.

Ulteriori pericoli di riflessi vessatori della legge penale derivano dal fatto che le attività illecite se compiute dai dirigenti e dai convinti seguaci del movimento religioso, una volta ritenute configuranti gli estremi di un reato, ne provocano per ciò stesso un altro, quello cioè di associazioni a delinquere. Ancor più manifesto, allora, è il rischio che lo strumento penale possa essere usato per criminalizzare e quindi stroncare i nuovi movimenti religiosi, a tutto vantaggio di quelli consolidati e tradizionali.

A parte l’aspetto strettamente individuale dei reati che si configurano, in tali casi è accettabile il rilievo della dimensione associativa, se consti che è l’organizzazione a precostituire le basi necessarie per la realizzazione di condotte costituenti figure di reato.

Ma la libertà religiosa può offrire anche di limitazioni indotte dalla mentalità e dal pregiudizio, mentalità e pregiudizio favoriti dal modo di intendere la religione. Questo quadro idilliaco è però turbato, oggi, dall’irruzione di numerosi soggetti collettivi che, vengono chiamati nuovi movimenti religiosi.

Ora le Chiese più forti e, proprio per questo, tradizionalmente più legate al potere pubblico nel solito scambio politico, non potendo più fruire, da parte del potere pubblico di una difesa diretta contro la concorrenza che portano loro, nel campo religioso, i numerosi gruppi e movimenti che lo affollano sempre maggiormente, sono indotte ad esercitare sul potere politico una pressione volta a demonizzare i nuovi movimenti religiosi.

Visto che questi movimenti si appellano, per le loto iniziative, alla libertà religiosa, il primo gradino è proprio quello della identificazione di questi movimenti come religiosi, ed è proprio a questo livello che si può avere una limitazione/comprensione della libertà religiosa, visto che la categoria da utilizzare è già condizionata e pregiudicata.

I gruppi religiosi così qualificati si distinguono perché “hanno molto poco in comune con quella tradizione cristiana che aveva caratterizzato secoli di storia religiosa”, e per quello che ora ci interessa si caratterizzano:

a) per il fatto che le loro pratiche di culto sono strane, eterodosse, imbarazzanti, spesso ai margini del confine tra lecito ed illecito;

b) che la loro opera di proselitismo è talvolta aggressiva o svolta attraverso tecniche che sembrano condizionate oltre misura i soggetti che ne sono destinatari, tanto che essi vengono spesso “accusati di ledere i diritti dell’uomo sotto molteplici profili”.

È quindi necessaria una continua vigilanza affinché sotto le vesti di una giusta difesa di interessi generali non si celi l’obiettivo di scoraggiare l’iniziativa di nuovi gruppi religiosi che guadagnano terreno sulle Chiese tradizionali.

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