La legalità costituzionale è una legalità per valori, e si può dire che “la Costituzione si ispira innanzitutto all’ideale della centralità e del primato della persona”; per cui viene in evidenza, in primo luogo, il valore che appare più strettamente collegato a quell’ideale, ossia la libertà, che ci interessa per la sua specificazione in libertà religiosa e quindi per le modalità attraverso cui si intende offrire tutela ed attuazione a questo valore.

L’art. 19 Cost. dichiara che “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto”.

La tutela costituzionale e internazionale esige che il potere pubblico non emani provvedimenti o disposizioni normative che si risolvano sostanzialmente in un impedimento al compimento dell’esperienza religiosa. Siccome la libertà religiosa appare strettamente inerente al valore della dignità della persona umana, essa rientra nella categoria dei diritti umani. Proprio perché questi diritti umani hanno una portata che travalica gli stretti confini territoriali, se ne giustifica una tutela da parte della comunità internazionale.

Il modo di intendere la libertà religiosa, le sue esplicazioni e l’ampiezza di esse, dipende essenzialmente dal modo di concepire il rapporto tra politica e religione, e quindi dalle forme di Stato che condizionano l’interpretazione di quel rapporto.

Il fatto è che i diritti umani di cui tanto parliamo sono inequivocabilmente occidentali. Fatto sta che molti Paesi arabi nell’aderire ai Patti tennero a precisare che la libertà di religione doveva intendersi alla luce della religione islamica. La quale concepisce la libertà religiosa come libertà a senso unico. Pare più realistico fare riferimento a norme internazionali per così dire regionali, limitate cioè a zone del mondo più omogenee dal punto di vista storico-culturale.

Il fatto è che libertà religiosa presuppone una relazione fra tre punti di riferimento che costituiscono altrettante variabili, sulla natura, qualità e quantità di ciascuna delle quali vi può essere diversità di vedute, determinata spesso da vere e proprie teorie filosofiche e politiche. Di modo che il concetto di libertà diventa veramente contestabile, se non si prende atto che esso si riferisce a tante svariate situazioni quante sono le combinazioni possibili tra quelle tre variabili, richiedendo quindi modalità di effettiva tutela differenziate in rapporto alle diverse situazioni.

La religione può venire in rilievo in una duplice prospettiva: da un punto di vista per così dire statico, essa costituisce un messaggio più o meno complesso in cui credere, cui aderire. Da un punto di vista dinamico, essa costituisce un insieme di regole di vita e di comportamenti sia liturgici, sia etici, concernenti cioè la vita sociale sia pubblica che privata.

Nel secondo caso, siamo di fronte ad azioni per così dire plateali, visibili, delle quali perciò appare più semplice la valutazione e la consequenziale tutela; tali azioni sono però il frutto dell’adesione ad un messaggio religioso. Questa adesione è frutto di un procedimento tutto particolare, di cui si può parlare in termini di tutela giuridica solo in quanto lo si voglia considerare un atto di scelta. La scelta viene compiuta al termine di un procedimento che si svolge non già sul piano esteriore bensì sul piano psicologico, mentale. È ovvio allora che non possa parlarsi di libertà di religione “senza prestare attenzione all’aspetto preliminare” costituito da questo processo psicologico. Anche il processo interiore destinato a sfociare in una scelta dovrebbe essere protetto da turbamenti e costrizioni.

Preliminare al discorso sulla libertà religiosa in senso proprio è il discorso sulla libertà della coscienza intesa come sede di quel procedimento psicologico che si conclude con l’assunzione di una determinata credenza religiosa. Ed a questo processo psicologico si riferisce la Corte Costituzionale. Pertanto il principio creativo della coscienza viene considerato un “bene costituzionalmente rilevante”, e la sua protezione “si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione”.

Viene dunque riconosciuto il diritto alla libera formazione della coscienza, a che cioè quel processo interiore, psicologico si attui senza condizionamenti esterni.

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