Dato che le sentenze ecclesiastiche in materia di nullità matrimoniale, come abbiamo detto, non passano mai in giudicato, possono verificarsi situazioni alquanto paradossali.

  • Innanzitutto può accadere che, mentre pende il giudizio per il riconoscimento di efficacia della sentenza, si abbia una novae causae propositio.
  • Ma può accadere che la nova causae propositio si abbia allorché la sentenza di nullità matrimoniale sia stata già delibata, ed i coniugi che l’hanno ottenuta abbiano già contratto un nuovo matrimonio. Il nuovo processo canonico può concludersi con la dichiarazione della validità del vincolo coniugale che la precedente sentenza ecclesiastica aveva invece dichiarato nullo.

L’art. 8 c. 2° dell’Accordo 1984 stabilisce che la Corte d’Appello, in sede di giudizio di delibazione, potrà “statuire provvedimenti economici provvisori in favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisone in materia”.

La situazione sostanziale di chi ha subito la nullità non è dissimile, dal punto di vista della consolidata e concreta comunanza di vita che ha preceduto la dichiarazione di nullità, da quella di chi ha subito una sentenza di divorzio.

Artt. 129 e 129-bis del codice civile. Il primo di questi articoli presuppone che entrambi i coniugi siano in buona fede; il secondo articolo presuppone invece che uno dei due coniugi sia in mala fede.

Nel primo caso, il giudice può disporre a carico di uno dei due coniugi “l’obbligo di corrispondere somme di denaro”, nel secondo caso può disporre a carico del coniuge in mala fede una vera e propria indennità che “deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni”.

Qualche problema presenta, nel secondo caso, l’accertamento della sussistenza della mala fede, sia per quanto riguarda il metodo, sia per quanto riguarda la sostanza. Per quanto riguarda il metodo, non ci si può attenere a quanto accertato nella sentenza ecclesiastica, occorrendo invece integrare i dati di quella sentenza con un’apposita, specifica istruttoria.

Per quanto riguarda la sostanza, occorre partire innanzitutto dal principio secondo cui è imputabile di mala fede ai sensi dell’art. 129-bis c.c. “il coniuge che, avendo la capacità d’agire, abbia contratto matrimonio consapevolmente e liberamente, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza del vizio che inficiava di nullità il matrimonio”. Ed in secondo luogo dalla considerazione che l’altra parte deve essere effettivamente in buona fede; ché se invece l’altra parte sia a diretta conoscenza della circostanza sulla cui base è stata poi dichiarata la nullità, allora neppure essa può essere considerata in buona fede e non ha diritto alla indennità di cui all’art. 129-bis del codice civile.

L’art. 64 della legge n. 218/1995 stabilisce infatti che una sentenza straniera può essere riconosciuta in Italia solo se “non pende un processo davanti a un giudice italiano per medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero”.

La pendenza di una causa di divorzio impedisce il riconoscimento della sentenza di nullità, né pertanto sarebbe possibile chiedere questo riconoscimento al fine di far dichiarare cessata la materia del contendere nel giudizio di divorzio già pendente dinanzi al giudice civile.

L’art. 64 lett. e) della legge n. 218/1995 ammette una sentenza straniera al riconoscimento a condizione “che essa non è contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano”.

Essendo venuta meno la riserva di giurisdizione ecclesiastica e potendo perciò il giudice italiano conoscere della nullità del matrimonio, su questo presupposto adotta provvedimenti economici.

Quindi il riconoscimento di sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale non può essere utilizzato per liberarsi dagli oneri economici stabiliti da precedente sentenza di divorzio passata in giudicato.

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