Anche in relazione al giustificato motivo oggettivo, è prevista l’alternativa tra le due forme di tutela applicabili al licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo, La tutela reale attenuata è applicata dal giudice nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato in conseguenza della inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero intimato in violazione del diritto del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro durante la malattia. Inoltre, la stessa tutela è applicata nell’ipotesi in cui il giudice “accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”.
La tutela esclusivamente indennitaria, invece, è applicata nelle “altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo”. Tuttavia, ai fini della determinazione della indennità spettante, sempre ricompresa tra il minimo di 12 ed il massimo di 24 mensilità di retribuzione, il giudice deve tenere conto anche delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento tenuto da entrambe le parti nell’ambito della procedura prevista dall’articolo 7 della legge 604 del 1966.
In sostanza, nell’ambito della nuova disciplina dei rimedi in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il legislatore ha inteso riservare una tutela più intensa contro i licenziamenti intimati per ragioni legate allo stato di salute del lavoratore. Ha, quindi, previsto la reintegrazione, sia pure con risarcimento limitato nel massimo, per i lavoratori licenziati a causa di minorazioni fisiche o psichiche, quando risulti possibile la loro utilizzazione in altre mansioni, eventualmente inferiori, e per i lavoratori licenziati prima della scadenza del periodo di comporto in caso di malattia.
Al di fuori di tali ipotesi, riconducibili alla ratio protettiva della salute del lavoratore, il legislatore ha ritenuto eccezionale l’applicazione della reintegrazione, stabilendo che essa è consentita solo ove risulti la “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento. È, in particolare, significativo il confronto con l’analoga disciplina del difetto di giusta causa e giustificato motivo soggettivo, ove la reintegrazione consegue ad una “insussistenza del fatto” che non è richiesto sia “manifesta”.
Pertanto, pur dovendosi dare atto della difficoltà di individuare criteri applicativi univoci per distinguere quando il fatto sia “insussistente” o “manifestamente insussistente”, è da ritenere che, in presenza di dubbi o di risultanze probatorie non univoche, la tutela della reintegrazione non è applicabile, dovendo, invece, trovare applicazione la tutela indennitaria. In ogni caso, il lavoratore, che sia stato licenziato per giustificato motivo oggettivo, può dedurre in giudizio che la reale motivazione sia costituita da ragioni discriminatorie o disciplinari, e, in tal caso, ove di ciò fornisca la prova, troveranno applicazione le tutele più favorevoli previste dalla legge per quelle fattispecie.
Infine, è prevista una tutela risarcitoria, in misura ridotta, in relazione ai casi di inefficacia del licenziamento derivante dalla mancata indicazione dei motivi che lo hanno determinato o dalla violazione della “procedura” che il datore di lavoro è tenuto ad osservare quando intende intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo o un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
In questi casi, al lavoratore è riconosciuta una indennità risarcitoria “onnicomprensiva” determinata, in relazione alla gravità della violazione, tra un minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione. Il riferimento alla violazione della “procedura” prevista dall’articolo 7 della legge 300 del 1970 sembra ricomprendere anche l’ipotesi di violazione dell’obbligo relativo alla affissione del codice disciplinare, essendo anche questo un onere procedimentale posto a carico del datore di lavoro che intenda licenziare per una giusta causa o un giustificato motivo di carattere soggettivo.
Invece, secondo le prime pronunce giurisprudenziali, la mancata immediatezza nell’intimazione del licenziamento costituirebbe violazione di un principio riconducibile all’articolo 2106 del Codice Civile o agli obblighi di buona fede e correttezza; cosicché la violazione del principio di immediatezza darebbe luogo all’applicazione della tutela risarcitoria più elevata prevista nelle “altre ipotesi” di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Anche in presenza di vizi di motivazione e procedimentali, il legislatore lascia aperta la possibilità di sindacare le reali ragioni del licenziamento stabilendo che il lavoratore può chiedere in giudizio l’accertamento del difetto di giustificazione e la conseguente applicazione della disciplina prevista in relazione all’ipotesi che risulti accertata