Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento può essere configurato anche da fatti ed eventi riferibili alla persona del lavoratore, che, pur non essendo riconducibili ad inadempimenti a lui imputabili, sono idonei ad incidere in modo rilevante sulla “attività produttiva”, sulla “organizzazione del lavoro” e sul “regolare funzionamento” di quest’ultima. Una fattispecie particolare è quella del cosiddetto “scarso rendimento” che può essere ricondotta nel giustificato motivo soggettivo quando lo scarso rendimento è determinato da un notevole inadempimento del lavoratore, ma può configurare anche il giustificato motivo oggettivo quando, a prescindere dall’esistenza di inadempimenti, esso determini una rilevante disfunzione organizzativa.
Rientrano, invece, certamente nel giustificato motivo oggettivo i fatti ed eventi che determinano situazioni di sopravvenuta impossibilità della prestazione, quando la situazione di impedimento da parte del lavoratore sia definitiva, ovvero di durata imprevedibile o così lunga da incidere sul regolare funzionamento dell’organizzazione del lavoro. Si pensi, ad esempio, alla scadenza del permesso di soggiorno per il lavoratore extracomunitario, alla revoca del porto di armi nei confronti di una guardia giurata.
Particolare rilievo, poi, riveste la fattispecie della sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore allo svolgimento delle mansioni alle quali è adibito. In tale ipotesi, ove la inidoneità sia temporanea o parziale la configurabilità del giustificato motivo di licenziamento deve essere valutata verificando se, tenendo conto dell’organizzazione aziendale e delle mansioni del lavoratore, esista o no un apprezzabile interesse del datore di lavoro alle future prestazioni lavorative, o all’impiego delle residue capacità fisiche.
In sostanza, mentre l’orientamento più risalente riteneva che la valutazione dell’interesse all’adempimento parziale, di cui all’articolo 1464 del Codice Civile, fosse di insindacabile competenza del datore di lavoro, la riconduzione dell’impossibilità sopravvenuta tra i motivi di licenziamento per i quali opera la disciplina limitativa della legge 604 del 1966 determina, in caso di inidoneità fisica temporanea e di inidoneità fisica non totale, la sindacabilità giudiziale dell’interesse del datore di lavoro all’adempimento parziale.
Una disciplina speciale, ed una tutela rafforzata, è prevista a favore dei disabili, il cui rapporto di lavoro può essere risolto solo ove l’apposita commissione tecnica accerti che, pur “attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro”, vi sia una impossibilità definitiva di reinserimento. Nel caso, invece, di lavoratori divenuti disabili dopo l’assunzione per infortunio sul lavoro o malattia professionale, viene confermato che essi non possono essere licenziati ove siano adibiti a mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori, ma l’imprenditore non è tenuto a modificare la propria organizzazione per consentire la loro ricollocazione.
L’onere di dimostrare il fatto (negativo) dell’impossibilità del proficuo reimpiego può essere assolto mediante la prova del fatto (positivo) contrario, ossia della “copertura” di tutti gli altri posti di lavoro di contenuto professionale equivalente o inferiore, ovvero mediante la dimostrazione della mancata effettuazione di assunzioni, per quelle tipologie di posti, in un congruo periodo di tempo precedente e successivo al licenziamento. L’onere probatorio, peraltro, è mantenuto dalla giurisprudenza entro limiti di ragionevolezza, mettendolo in relazione anche con il comportamento processuale del lavoratore. Viene, quindi, affermato che su quest’ultimo grava un onere di deduzione circa la possibilità della ricollocazione e di specifica allegazione in ordine alla posizione nella quale il proficuo reimpiego potrebbe avvenire.