Il giustificato motivo oggettivo consiste nelle ragioni inerenti all’organizzazione del lavoro, al regolare funzionamento della stessa ed all’attività pro­duttiva; occorre precisare che, nella maggioranza dei casi, tali ragioni dan­no luogo al licenziamento non di uno solo, ma di una pluralità di lavora­tori. Il licenziamento di più lavoratori si configura, se ne sussistono i re­quisiti, come licenziamento collettivo, regolamentato non dalla legislazione sui licenziamenti individuali, ma dagli artt.4, 24, 5, L. 223/1991.

Le ragioni aziendali dovrebbero riferirsi all’intera azienda e non soltanto alla singola unità produttiva, con conseguente obbligo per il datore di valutare se il lavoratore da licenziare non possa essere adibito ad altre mansioni reperibili in azienda. Nonostante che il licenziamento per ragioni aziendali prescinda da ogni colpa del presta­tore, al lavoratore non spetta un’ulteriore indennità, oltre quella del pre­avviso.

Nelle ragioni aziendali rientrano la riorganizzazione, la ristrutturazio­ne e la riconversione aziendale, che danno luogo anche all’integrazione straordinaria guadagni; per riorganizzazione s’intende il mutamento del modulo organizzativo sulla base degli stessi elementi strutturali, per ri­strutturazione le innovazioni tecnologiche e per riconversione il muta­mento dell’attività aziendale. Non sussiste il giustificato motivo oggettivo quando il lavoratore li­cenziato venga immediatamente sostituito, specie se con un lavoratore in formazione che comporta un costo inferiore; in tal caso il licenziamento non trova la sua giustificazione in un ragione aziendale in senso stretto, che sia di organizzazione o di produttività (Cass. 17 marzo 2001, n. 3899).

Impossibilità del substrato, anche imputabile. Rientra, altresì, qualsiasi ipotesi d’impossibilità del substrato della prestazione, anche a prescindere dall’imputabilità, che dà luogo alle conseguenze economiche previste per la mora del creditore, ma non anche alla preclusione del licenziamento, ammissibile sempre che l’impossibilità sia effettiva, tale da non consentire la prosecuzione, almeno parzialmente, dell’attività aziendale, e sia in rap­porto diretto di causalità con i licenziamenti.

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Una ragione aziendale, sia pure anomala, che rientra nel giustificato motivo oggettivo, è l’impossibilità della prestazione lavorativa, consistente nella perdita del­la capacità lavorativa, nella custodia cautelare, nella scadenza del permesso di lavoro o di soggiorno nel caso di lavoratori stranieri (Cass. 11 luglio 2001, n. 9407). Altra ipotesi è quella della sopravvenuta inidoneità fisica a svolgere le proprie mansioni, che deve essere accuratamente accertata dal datore in ragione del principio del licenziamento come ultima alternativa possibile (Cass. 13 dicembre 2000, n. 15688).

Per stabilire se l’im­possibilità della prestazione legittimi – fuori delle ipotesi di sospensione del rapporto (artt. 2110 e 2111 cc.) -, il licenziamento, deve essere valutato se il datore sia in grado di fronteggiare l’assenza, tenuto conto della durata della stessa.

Sulla base della convinzione che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione sia un giustificato motivo, con conseguen­te applicazione della legislazione sui licenziamenti individuali, si può rite­nere che per valutare la legitti­mità del licenziamento occorra tener conto della dimensione dell’azienda e della natura della prestazione. Una media o grande impresa, con molti dipendenti, eventualmente con una squadra di rimpiazzo proprio per la sostituzione dei lavoratori assenti, può fronteggiare l’assenza per un pe­riodo certamente più lungo di quanto non sia possibile al piccolo impren­ditore, con un ristretto numero di dipendenti. Per quanto riguarda la natura della presta­zione si comprende come sia più facile sostituire un lavoratore con bassa qualifica anziché un lavoratore con alta qualifica.

L’impossibilità non temporanea. Se poi l’impossibilità sia per sua na­tura non determinata né determinabile considerato lo stesso periodo di comporto della sospensione, essa costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento (C.App. 21 giugno 20001, n. 409, in Lav. Giur., 2002, 585).

La cessazione del periodo di comporto previsto dall’art. 2110 cc. costituisce ipotesi di estin­zione automatica del rapporto, anziché, un’ipotesi di giustificato motivo, con valutazione della preve­dibile ulteriore durata della malattia oltre il comporto; in ogni caso si ritiene che il dato­re debba procedere tempestivamente, tenuto conto delle circostanze spe­cifiche, all’estinzione del rapporto per cessazione del periodo di compor­to potendosi ritenere in caso contrario che abbia rinunciato a far valere il relativo potere. I contratti collettivi a volte stabiliscono un periodo di aspettativa successivo alla cessazione del periodo di comporto, per ottenere il quale il lavoratore deve presentare apposita richiesta con la certificazione medica prevista che attesti anche la durata dell’ulteriore as­senza.

 

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