Nelle ipotesi di licenziamento nullo o intimato in forma orale è riconosciuta al lavoratore la tutela reale. È previsto che, in tali ipotesi, il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, “indipendentemente dal motivo formalmente addotto”, e condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in misura “piena”. Ai fini del calcolo del risarcimento del danno, la indennità stabilita dal giudice è “commisurata alla ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione”.
Dall’ammontare della indennità risarcitoria deve essere dedotto il cd. aliunde perceptum, e, in ogni caso, la misura del risarcimento non può essere inferiore a 5 mensilità della ultima retribuzione. Infine, anche la nuova disciplina prevede: l’obbligo del datore di lavoro di versare i contributi previdenziali e assistenziali dovuti per l’intero periodo di estromissione del lavoratore; la risoluzione del rapporto di lavoro ove il lavoratore non riprenda servizio entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro, salva la facoltà del lavoratore di richiedere, in luogo della reintegrazione, il pagamento di una indennità pari a 15 mensilità di retribuzione.
Per quanto riguarda la individuazione delle ipotesi di nullità alle quali si applica la tutela reale, la nuova disciplina utilizza una tecnica ed espressioni diverse da quelle dell’articolo 18, primo comma, della legge 330 del 1970. Infatti, tale tutela trova applicazione nelle ipotesi di licenziamento nullo “perché discriminatorio a norma dell’articolo 15 della legge 300 del 1970, e successive modificazioni”, ovvero perché riconducibile “agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”. Stante l’utilizzo dell’avverbio “espressamente”, quindi, la tutela reale non è applicabile nel caso in cui il motivo di nullità sia ricavabile soltanto in via interpretativa. Non è, invece, chiaro se tale tutela trovi applicazione nell’ipotesi di nullità derivante “da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del Codice Civile”.
Ed infatti, la nuova disciplina non fa espressa menzione di tale ipotesi. Al riguardo, è da segnalare che la soluzione di tale problema interpretativo presenta un oggettivo collegamento con la questione della decorrenza della prescrizione. Ed infatti, anche nella casistica giurisprudenziale, il più comune motivo illecito di licenziamento è quello che è determinato da una finalità di ritorsione contro l’esercizio da parte del lavoratore di propri diritti.
Cosicché ove in tale ipotesi si escludesse la tutela reale, sembrerebbe notevolmente rafforzata la tesi secondo cui, a seguito della modifica dei rimedi contro i licenziamenti illegittimi, il lavoratore si trova in una situazione di metus tale da impedire l’esercizio dei propri diritti in costanza di rapporto di lavoro. Va ricordato, infine, che, nella nuova disciplina, la tutela reale è stata estesa anche alla ipotesi in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica.