I fenomeni di svalutazione della moneta incidono sul reale potere di acquisto della retribuzione, poiché, secondo i principi generali, il datore di lavoro estingue il proprio debito retributivo con moneta avente corso legale nello Stato e secondo il suo valore nominale. Nell’immediato secondo dopoguerra, per difendere il potere di acquisto dei lavoratori, fu introdotta l’indennità di contingenza, o “scala mobile”, che assicurava un meccanismo automatico di adeguamento delle retribuzioni all’aumento del costo della vita.

A partire dalla seconda metà degli anni settanta, iniziò ad avvertirsi che l’applicazione di tale meccanismo era esso stesso causa dell’aggravamento delle dinamiche inflattive, così da ingenerare un circuito vizioso certamente non utile per i lavoratori, ma dannoso per l’occupazione e il Paese. Inizialmente, si tentò di intervenire modificando la disciplina sindacale dell’indennità di contingenza, mitigandone gli effetti. Successivamente, dal 1 gennaio 1992, l’indennità di contingenza è stata del tutto soppressa.

Quindi, con il Protocollo sottoscritto tra Governo e sindacati nel 1993, la difesa del potere di acquisto della retribuzione è stata affidata ad un sistema diverso e più articolato. In base a tale sistema: a) lo Stato assumeva l’impegno a realizzare una politica volta a mantenere l’inflazione entro tassi programmati; b) la parte economica dei contratti collettivi nazionali di lavoro doveva formare oggetto di accordi di rinnovo stipulati ogni due anni (e non tre, come in precedenza); c) nel caso di ritardo nella conclusione dell’accordo di rinnovo, il lavoratore aveva diritto ad una indennità, definita di “vacanza contrattuale”. Tuttavia, anche tale Protocollo è stato gradualmente superato.

L’accordo quadro separato del 22 gennaio 2009 ed il successivo Accordo interconfederale di attuazione hanno aumentato a 3 anni la durata della parte economica del contratto collettivo, e, allo stesso tempo, non hanno più previsto una specifica disciplina per i periodi di vacanza contrattuale. Inoltre, il tasso di inflazione programmato dal Governo è stato sostituito con un nuovo indice previsionale, cosiddetto IPCA, basato sull’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo, “depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati”.

Senonché, mentre i tassi programmati dal Governo sono sempre risultati inferiori rispetto all’inflazione reale registrata ex post, il nuovo indice previsionale previsto dagli accordi del 2009 è risultato superiore all’inflazione reale, determinando così la previsione di aumenti retributivi, nell’ambito dei rinnovi contrattuali, di importo superiore agli effetti dell’inflazione e non giustificati da incrementi di produttività. Torna, quindi, in discussione sia una possibile revisione delle tecniche di adeguamento della retribuzione al costo della vita, sia, più in generale, il ruolo della contrattazione nazionale e di quella aziendale in materia retributiva.

 

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