Con l’ampia formula della partecipazione si fa riferimento ad una visione delle relazioni sindacali tendenzialmente non conflittuale, ma, al contrario, incentrata sullo stabile coinvolgimento dei lavoratori e/ o dei loro rappresentanti in determinate scelte relative alla gestione dell’impresa. Non tutti i sindacati, tuttavia, hanno condiviso questa prospettiva, lasciando di fatto inattuata la previsione costituzionale dell’art. 46.

Con il tempo, comunque, la pressione derivante dall’urgenza di risolvere una serie di concrete problematiche, ha spinto gli stessi sindacati ad invertire la tendenza, anche in considerazione del fatto che essere coinvolti in certe scelte aziendali ingenera scomode responsabilità e rischi, ma comporta anche una complessiva crescita del potere. È così apparsa una serie disorganica di norme, rivolte a garantire agli organismi di rappresentanza e/ o ai sindacati esterni, diritti di partecipazione di vario genere. A tale logica partecipativa sono riconducibili:

  • i diritti di informazione, ovvero ad essere informati in occasione di determinate scelte o in merito all’andamento della situazione dell’impresa.
  • i diritti di consultazione, aventi ad oggetto la possibilità dell’organismo di rappresentanza e/ o del sindacato di richiedere di essere consultato prima dell’adozione di una certa scelta.
  • i diritti di codecisione, comportanti l’attribuzione agli organismi di rappresentanza e/ o ai sindacati di un vero e proprio diritto di veto su certe materie.
  • i diritti di cogestione, in base ai quali rappresentanti dei lavoratori sono presenti negli organismi di gestione delle imprese, così da poter esercitare una funzione di controllo di alto livello.

Complessivamente, quindi, nel nostro ordinamento sono prevalenti i diritti deboli di partecipazione, non comportanti, ma al massimo prospettanti, la necessità di accordi con l’interlocutore sindacale.

Tale rete di norme ha infine trovato un’ideale unificazione tramite il d.lgs. n. 25 del 2007, di attuazione di una direttiva comunitaria, il quale ha istituito un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori. La normativa prevista, applicabile a tutte le imprese nazionali che abbiano impiegato almeno 50 lavoratori, ha soprattutto una valenza di cornice, risolvendosi in sostanza in una delega ai contratti collettivi a stabilire sedi, tempi, soggetti, modalità e contenuti dei diritti di informazione e consultazione. Entrambi gli elementi, comunque, (informazione e consultazione) devono riguardare:

  • l’andamento recente e quello prevedibile dell’attività d’impresa.
  • la situazione, la struttura e l’andamento prevedibile dell’occupazione dell’impresa.
  • le decisioni dell’impresa che siano suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti dell’organizzazione del lavoro.

Quanto alle modalità, l’informazione e la consultazione devono avvenire nelle modalità di tempo e contenuto appropriate allo scopo.

Sono altresì previsti doveri di riservatezza, salvo eccezioni prospettate dai contratti collettivi, per i rappresentanti dei lavoratori, a pena di responsabilità disciplinare. Il datore di lavoro, inoltre, non è obbligato a procedere a consultazioni o a comunicare informazioni che, per esigenze tecniche, organizzative e produttive, siano di natura tale da creare notevoli difficoltà al funzionamento dell’impresa o da arrecarle danno. Sono infine previste sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro che abbia violato l’obbligo di comunicare le informazioni o di procedere alla consultazione prevista dalla normativa.

Al di là del suo fortissimo impatto precettivo, il d.lgs. n. 25 del 2007 rappresenta un’altra importante tappa di una tendenza evolutiva di lungo periodo in direzione di un sistema di relazioni sindacali meno conflittuale e più partecipativo

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