I limiti imposti all’autonomia negoziale, nel rapporto di lavoro subordinato, sono sanciti a pena di nullità (comportando l’inefficacia dell’intero contratto o delle singole clausole) e mirano all’inderogabilità: le clausole volute dai contraenti in difformità delle norme imperative di legge sono sostituite di diritto ai sensi dell’ art. 1419 c.c. Oltre alla sostituzione legale, va inoltre accomunato anche quello dell’inserzione automatica nel contratto dei precetti legali, come ulteriore effetto dell’inderogabilità delle norme imperative. “E’ la tutela inderogabile degli interessi del lavoratore, disposte dalle norme contro ogni patto contrario”. In effetti l’ autonomia contrattuale è ripartita in modo diseguale a causa della debolezza contrattuale del lavoratore ed è per questo che l’organizzazione e l’azione del sindacato è finalizzata alla correzione di detto squilibrio.

La validità dei patti più favorevoli al prestatore, vista come salvezza delle condizioni più favorevoli del lavoratore, è detta inderogabilità in peius.

La Convenzione di Roma del 1980 prevede che, in mancanza di scelta delle parti, il contratto sia regolato:

dalla legge del paese in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro, anche se inviato temporaneamente in altro paese;

dalla legge del paese in cui si trova la sede che ha proceduto all’assunzione.

Le parti sono libere di scegliere di decidere diversamente la legge che regola il contratto, purché il lavoratore sia protetto come da norme imperative.

 

Autonomia privata e tipo contrattuale

Per qualificare il rapporto di lavoro occorre prima interpretare il contratto che lo ha instaurato e lo regola

secondo la volontà delle parti. Nella pratica, però, si perviene all’interpretazione del contratto guardando, più che alla volontà dichiarata dalle due parti, soprattutto il comportamento durante il rapporto di lavoro (cioè quello che effettivamente è l’attuazione del rapporto). Per tale motivo l’indagine è rivolta al comportamento tenuto dai contraenti, anche dopo la conclusione del contratto, per poter interpretare la qualifica del rapporto di lavoro.

Il contratto di lavoro, quindi, sembra distaccarsi dal classico contratto civilistico dominato dalla libertà contrattuale e quindi dalla volontà delle parti che ne determina liberamente il contenuto. Nel contratto di lavoro alla volontà delle parti è inibito separare la subordinazione dallo statuto protettivo: la disciplina imperativa conferisce alla subordinazione la funzione identificatrice del tipo legale del contratto subordinato, che si configura quale modello rigido di regolamento imperativo di interessi. Si parla in proposito d’ indisponibilità del tipo legale.

 

Il principio del favor

Le norme inderogabili poste a tutela del lavoratore, non hanno funzione di ordine pubblico, bensì di protezione dell’interesse del lavoratore. Il principio dell’inderogabilità si combina con il principio del trattamento più favorevole al lavoratore (c.d. favor), per cui può essere lasciata all’autonomia individuale la possibilità di stabilire patti o clausole, anche taciti, purché migliorativi dei trattamenti normativi ed economici previsti dal contratto collettivo applicabile (è il caso degli usi aziendali).

La c.d. legislazione della flessibilità riconosce il potere di introdurre anche modifiche sfavorevoli in funzione delle esigenze dell’impresa: è un’eccezione alla regola del favor.

Bisogna dire, però, che l’efficacia inderogabile della disciplina del contratto di lavoro opera attraverso il meccanismo della sostituzione legale delle clausole difformi e trae origine dalla tutela degli interessi del lavoratore.

 

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