Non tutti i comportamenti antagonistici del sindacato sono antisindacali dal punto di vista giuridico.
In genere, sono illeciti i comportamenti del datore ostativi di attività sindacale e di scioperi svolti con modalità riconosciute dall’ordinamento, o di comportamenti che si muovono nella sfera generica della libertà sindacale, e come tali protetti.
Sono invece esenti da censura i comportamenti motivati da reazioni a comportamenti illeciti o non protetti dei lavoratori
a) Antisindacalità ed interesse dell’impresa
Nascono delle controversie sui comportamenti del datore attinenti alla gestione dell’impresa, ma bisogna escludere che basti qualsiasi interesse aziendale a giustificare il comportamento del datore e ad escludere l’applicabilità dell’art. 28. Perché sia così, il comportamento oltre a dover essere giustificato i n modo conclusivo, si deve escludere che sia diretto a contrastare l’esercizio dei diritti protetti dalla norma.
b) Reazioni allo sciopero
L’art. 28 protegge il diritto di sciopero da ogni comportamento ostativo, ma senza entrare nel merito dei limiti del suo esercizio. Limiti che sono quelli posti dalla giurisprudenza, sia quanto alle modalità, sia quanto agli obiettivi.
c) Comportamenti nelle trattative
Si ritiene che il rifiuto di trattare o il comportamento ostruzionistico non costituisce in sé condotta antisindacale, perché non esiste nel nostro ordinamento un obbligo legale di trattare in capo all’imprenditore. La condotta del datore è reprimibile ex art. 28, solo quando un obbligo a trattare si desume da specifiche disposizioni di legge, o anche di contratto collettivo.
d) Violazione dei diritti sindacali contrattuali
Una serie di problemi si verifica quando il datore viola diritti riconosciuti al sindacato dalla stessa contrattazione collettiva, non dalla legge. La norma protegge l’esercizio dei diritti sindacali quali si configurano e sono riconosciuti dall’ordinamento, in questi rientrano quelli che fanno parte dell’area protetta di attività sindacale attraverso il tramite di autonomia collettiva, che è riconosciuta dal nostro sistema costituzionale come fonte di disciplina dei rapporti di lavoro.
La violazione della parte normativa del contratto riguardante la disciplina dei rapporti individuali non è reprimibile ex art. 28.