La legge 604 del 1966, nell’introdurre l’obbligo della giustificazione causale del licenziamento, ha contestualmente regolato le conseguenze della violazione di tale obbligo. Stante la specialità dei limiti posti al potere di recesso del datore di lavoro, il legislatore ha ritenuto che i rimedi alla violazione di quei limiti non debbano essere individuati nel diritto comune, bensì ha regolato anche essi con una disposizione di natura speciale. Tale disposizione, applicabile originariamente ai datori di lavoro con più di 35 dipendenti, prevedeva che il datore di lavoro fosse tenuto alla riassunzione, o in alternativa, al pagamento di una indennità.

Poiché la scelta del datore di lavoro ricade, di norma, sul pagamento dell’indennità, la tutela prevista da quella legge è stata, comunemente, definita “obbligatoria”. L’articolo 18 della legge 300 del 1970 ha introdotto, poi, una tutela più incisiva per i lavoratori alle dipendenze di imprenditori medio grandi. Nel testo originario, tale disposizione prevedeva che, in tutti i casi di licenziamento illegittimo, il giudice “avrebbe ordinato al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro”, nonché al risarcimento del danno corrispondente alle retribuzioni perse durante il periodo di estromissione dal lavoro, e comunque in misura non inferiore a 5 mensilità di retribuzione.

Tale tutela è stata definita “reale”, perché l’ordine di reintegrazione, pur essendo insuscettibile di esecuzione in forma specifica, determina giuridicamente la ricostituzione del rapporto di lavoro ed il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore, sia pure a titolo risarcitorio, tutte le retribuzioni dovute al lavoratore dal giorno della sentenza sino a quello in cui non provveda alla effettiva reintegrazione. Successivamente, la legge 108 del 1990:

a) ha ridefinito il campo di applicazione della tutela reale estendendola anche ai datori di lavoro non imprenditori, prevedendo, inoltre, nuovi requisiti dimensionali;

b) ha modificato la misura e i criteri di calcolo dell’indennità dovuta, in caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, nell’area di applicazione della tutela obbligatoria;

c) ha individuato specifiche ipotesi di datori di lavoro o lavoratori sottratti all’applicazione dell’articolo 18 della legge 300 del 1970 e della legge 604 del 1966.

La Corte costituzionale ha più volte evidenziato che il diritto al lavoro giustifica e sollecita l’intervento della legge volto a limitare la libertà di recesso del datore di lavoro e perseguire l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro. Ma ha altresì evidenziato che la tutela reale non è costituzionalmente “necessaria”, ossia non è obbligatoriamente imposta dai principi costituzionali, ditalché la scelta dei tempi e dei modi di intervento resta affidata alla discrezionalità del legislatore, anche “in rapporto alla situazione economica generale”.

Dopo lunghe ed accese discussioni, nel 2012, il legislatore ha interamente sostituito l’articolo 18 della legge 300 del 1970, ritenendolo causa di una eccessiva rigidità del mercato del lavoro. Rigidità che, da un lato, frena la crescita delle imprese e disincentiva l’attrazione di capitali ed investimenti esteri; d’altro lato, crea una inopportuna barriera tra lavoratori, assicurando un regime di forte stabilità soltanto per una parte (quelli, cioè, assunti a tempi indeterminato presso imprese medio-grandi) con esclusione di tutti i lavoratori delle piccole imprese, che sono una piccola parte consistente del tessuto produttivo italiano, e i lavoratori assunti con contratti “flessibili”.

Il testo vigente dell’articolo 18 della legge 300 del 1970 opera una modulazione delle conseguenze giuridiche dei vizi del licenziamento in relazione al grado di disvalore che si ritiene debba essere attribuito a ciascuno di essi. In sostanza, sono previste tutele differenziate, graduate a seconda del vizio del licenziamento. La “reintegrazione” è ancora possibile, ma solo nei casi ritenuti di più grave difformità del licenziamento rispetto alla disciplina legale, mentre negli altri casi al lavoratore è riconosciuta una tutela indennitaria.

Nel 2015, infine, il legislatore, avendo evidentemente ritenuto insufficienti le modifiche previste con la legge 92 del 2012, ha introdotto il “contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti”, applicabile ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, prevedendo per esso un “nuovo regime di tutele nel caso di licenziamento illegittimo”. Tale nuovo regime restringe ulteriormente le ipotesi in cui può trovare applicazione la tutela reale.

Sono, quindi, oggi in vigore, e coesistono, due diversi regimi di tutela contro i licenziamenti illegittimi, che devono essere trattati separatamente: a) il primo, applicabile ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, è dettato dall’articolo 18 della legge 300 del 1970 e dall’articolo 8 della legge 604 del 1966; b) il secondo, applicabile ai nuovi assunti, ossia coloro che sono stati assunti dal 7 marzo in poi, è dettato dal decreto legislativo 23 del 2015.

Il primo regime, quindi, con il decorso naturale del tempo, avrà una applicazione gradualmente regressiva e tendenzialmente “ad esaurimento”, man mano che i rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015 verranno a cessare. Per un lungo periodo, tuttavia, i due diversi regimi di tutela si troveranno a convivere, anche nell’ambito della stessa azienda, a seconda della data di instaurazione del rapporto di lavoro. Le conseguenti differenze di trattamento, pur essendo giustificate dal naturale effetto delle riforme, potrebbero sollecitare nuovi interventi da parte del legislatore.

 

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