Le origini dell’istituto del collocamento
Di fronte al fenomeno della disoccupazione sia strutturale che frizionale (dipendente dall’andamento ciclico dell’economia), l’intervento più antico e diffuso è stato rappresentato dall’istituto del collocamento. Per mezzo di esso il legislatore ha mirato a regolamentare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
Alla sua origine il collocamento era concepito come una funzione pubblica e gratuita di mediazione, atta a tutelare il lavoratore, non solo dalla speculazione degli intermediari privati, ma soprattutto da un’eventuale squilibrio tra domanda ed offerta. La domanda di lavoro dipende dai datori di lavoro, i quali svolgono un ruolo determinante nelle assunzioni “attraverso la selezione della manodopera”. Per molti decenni, quindi, l’obiettivo del controllo pubblico è stato quello di regolamentare la concorrenza soprattutto tra i lavoratori meno qualificati. A questo stesso fine, nacque, nel periodo precorporativo, il cosiddetto collocamento di classe o sindacale, mediante il quale i sindacati si proponevano di tutelare i lavoratori nella ricerca dell’occupazione e la contrattazione delle assunzioni. Durante il periodo corporativo, invece, il collocamento assunse le vesti di funzione pubblica: caratteristica fondamentale introdotta fu il principio del monopolio pubblico del collocamento. Nasce il divieto, penalmente sanzionato, dell’attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro da parte dei privati.
Va sottolineato che il passaggio ad un sistema pubblico di collocamento non significò la scomparsa dell’intervento sindacale (funzioni gestionali attribuite ai sindacati corporativi).
Dopo la caduta dell’ordinamento corporativo, il primo intervento in materia fu rappresentato dalla L. 29 aprile 1949, n. 264 che confermava la funzione pubblica del collocamento e ribadiva il principio del monopolio statale, attraverso il divieto della mediazione privata tra domanda ed offerta di lavoro, nonché l’obiettivo dell’equa ripartizione delle occasioni, attraverso la regola dell’assunzione mediante la cosiddetta richiesta numerica da parte delle imprese.
Dal controllo pubblico sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro alle politiche attive per l’occupazione
Già nel corso degli anni ’50 e ’60 la normativa descritta ha mostrato tutti i suoi limiti. Il collocamento pubblico, a causa delle rigidità burocratiche e del fatto di essere diventato una struttura finalizzata alla mera assistenza passiva dei disoccupati, si è rivelato incapace a soddisfare le esigenze di un’offerta di lavoro più sofisticata e meno indifferenziata. Nello stesso tempo, la disciplina legislativa si è dimostrata inefficace ed ineffettiva per cui è nata l’esigenza di una revisione sostanziale della disciplina del collocamento, come attività e non solo come struttura amministrativa. Questo è avvenuto con la soppressione dell’obbligo della richiesta numerica ed il passaggio dapprima alla richiesta nominativa (1991) e successivamente (1996) all’assunzione diretta e sulla mera comunicazione successiva all’ufficio di collocamento dell’avvenuta assunzione.
Infine si è giunti al sistema attuale che ha cancellato il monopolio pubblico del collocamento ed ha affiancato strutture private ai servizi pubblici per l’impiego nell’attività di intermediazione nel mercato del lavoro.
In questo modo si è introdotta una normativa intesa a sviluppare forme di politica attiva della manodopera finalizzate a promuovere l’occupazione ed in particolare l’accesso dei giovani al mercato del lavoro, la mobilità della forza lavoro, la creazione di forme occupazionali diverse dalle classiche del lavoro subordinato.
Nella stessa prospettiva uno specifico rilievo è stato riconosciuto alle politiche di sviluppo dei sistemi formativi, ai quali è affidato il compito di assicurare l’adattamento, quanto più efficace, tra domanda ed offerta di lavoro e quindi la corrispondenza tra le richieste professionali da parte delle imprese e quelle possedute dai lavoratori.