In attuazione della Direttiva-quadro 391/89 della CEE in tema di sicurezza del lavoro, questo decreto comprende sia il settore privato sia quello pubblico.

Esso ribadisce il nesso, stabilito dall’art. 2087, tra obblighi di sicurezza e acquisizioni tecnologiche, inoltre prevede la valutazione e la riduzione al minimo dei rischi. Prevede, inoltre, una programmata prevenzione, un uso ridotto di agenti chimici e fisici, e rende obbligatoria “l’informazione, la formazione, la consultazione e la partecipazione” dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni di sicurezza. La 626, quindi, rafforza proprio questo diritto d’informazione, sancito anche dall’art. 9 dello Statuto, rendendo obbligatoria l’elezione o designazione all’interno di tutte le aziende di uno o più rappresentanti per la sicurezza.

Il datore di lavoro, quindi, deve valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori e quindi elaborare un piano di sicurezza ambientale.

Altra innovazione è l’istituzione di un servizio permanente di prevenzione e protezione, solitamente all’interno dell’azienda e anche se possono esserci strutture esterne all’azienda. A tale obbligo si affianca quello di sottoporre i lavoratori esposti a particolari agenti rischiosi per la salute alla sorveglianza sanitaria del c.d. medico competente.

Nell’area della tutela della salute dei lavoratori l’intero quadro normativo è stato recentemente rivisto con il D.Lgs.9 aprile 2008, n. 81, che costituisce ora il nuovo testo unico delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.

I principi cui il legislatore delegato è stato chiamato ad adeguarsi possono essere così schematizzati: raccogliere in un unico corpo normativo tutto il complesso delle norme vigenti per razionalizzare l’intero sistema mediante il loro raccordo sistematico; definire l’assetto normativo in relazione alla riforma del mercato del lavoro (L. n. 30/2003 e D.Lgs. n. 276/2003); riportare la normativa nel quadro di riparto delle competenze legislative (legislazione nazionale e regionale) derivato dalla riforma del titolo V° della Costituzione.

II T.U. nei tratti fondamentali si pone in linea di continuità con l’impianto del D.Lgs. n. 626/1994 (rimanendo la direttiva 391/1989/CE la comune matrice); per quanto concerne l’ordine sistematico, invece, se ne discosta, perché esso contiene una disciplina generale, dettata mediante la definizione di principi comuni, e una disciplina speciale dedicata a singoli settori.

Per ciascun ambito settoriale la disciplina generale trova integrazione e completamento in quella speciale, che è appositamente dettata per l’ uso delle attrezzature e dei dispositivi di sicurezza, i cantieri mobili e temporanei, la movimentazione manuale dei carichi etc…

Le linee guida della riforma sono costituite dai due principi della universalità e della effettività.

Quanto all’universalità la nuova normativa persegue l’obiettivo di estendere, in tutto o in parte, le sue disposizioni pressoché a tutte le tipologie di lavoro.

Sicuramente l’estensione più importante riguarda i lavoratori autonomi (art. 2222 c.c.): ad essi, prima esclusi dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 626/1994,con una disposizione innovativa (art. 3) è stata resa applicabile la normativa in materia di sicurezza sul lavoro, anche se limitatamente ad alcuni aspetti. Ai lavoratori autonomi è imposta, in aggiunta, l’osservanza degli obblighi stabiliti per i contratti di appalto, d’opera e di somministrazione per la disciplina dei cd. processi di esternalizzazione (art. 26). Si tratta di quei casi in cui l’affidamento a terzi del lavoro o di fasi di esso comporta la presenza contemporanea in un medesimo contesto lavorativo di più operatori legati da distinti rapporti negoziali; l’esigenza che si pone in siffatte ipotesi è quella di integrare i rispettivi compiti di sicurezza, far convergere il più possibile le responsabilità verso un unico centro di imputazione e definire esattamente la ripartizione delle rispettive funzioni (art. 26).

Nello specifico caso dell’appalto privato, la mancata indicazione dei costi della sicurezza costituisce causa testuale di nullità del contratto, mentre negli appalti pubblici il medesimo parametro è assunto come uno dei criteri per la valutazione delle offerte ai fini della aggiudicazione.

Un primo punto fondamentale della riforma è dato dallo sviluppo di norme di coordinamento tra la disciplina della sicurezza ed il D.Lgs. n. 276/2003 (che già conteneva alcune disposizioni di raccordo ora recepite o confermate dal TU). Nei casi di dissociazione tra la figura del datore di lavoro e quella dell’utilizzatore della prestazione è stato indicato il soggetto al quale sono imputati gli obblighi di prevenzione e quelli di protezione ed è stato definito il relativo riparto.

Fuori dal D.Lgs. n. 276/2003, l’estensione della normativa sulla sicurezza ha interessato specificamente le forme di lavoro delocalizzato (il c.d. lavoro a distanza, come, ad es., il telelavoro) ed alcune ipotesi di lavoro non subordinato (tirocini, volontariato ecc.).

Per i lavoratori stagionali è prevista una semplificazione degli adempimenti relativi all’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria.

Sotto il profilo della effettività, la novità più rilevante può essere ravvisata nella scelta del legislatore di disciplinare espressamente la delega di compiti datoriali in materia di sicurezza ad altri soggetti (prima riconosciuta solo dalla giurisprudenza).

L’istituto della delega ha portata generale, nel senso che al datore di lavoro è sempre possibile delegare ai dirigenti ed ai preposti i propri compiti in materia, salvo che non vi osti una espressa disposizione contraria (es. art. 17) e purché siano soddisfatti i seguenti requisiti: la forma scritta ad substantiam; l’idoneità professionale del delegato a svolgere tali compiti; l’attribuzione al delegato dei poteri di organizzazione, di gestione, di controllo e di spesa; pubblicità della nomina. Solo con il rispetto di tutte le condizioni sopra indicate la responsabilità si trasferisce in capo al delegato, anche se permane in forma concorrente nella sfera datoriale la culpa in vigilando per il fatto che il datore di lavoro è gravato dell’obbligo di vigilare sul corretto svolgimento dei compiti delegati (art. 16).

Per quanto concerne le violazioni, il T.U. ha inasprito le sanzioni: per la prima volta, per alcune di esse, è stata stabilita la sola pena detentiva (art. 55, co. 2).

Di assoluta novità è, poi, l’estensione della responsabilità penale prevista dal D.Lgs.n. 231/2001 a carico delle persone giuridiche (cd. responsabilità amministrativa per illecito dipendente da reato), con sanzioni pecuniarie e di tipo interdittivo; nel caso di utilizzo di lavoratori irregolari (art. 14) , le sanzioni arrivano a comprendere la sospensione dell’attività imprenditoriale e il divieto fino a due anni di partecipare agli appalti pubblici e di stipulare contratti con la pubblica amministrazione.

La regolarizzazione dei lavoratori ed il ripristino delle regolari condizioni di lavoro, oltre il pagamento di una somma aggiuntiva sulla sanzione pecuniaria, costituiscono condizioni per la revoca del provvedimento.

L’ultimo aspetto da esaminare è quello della collocazione della nuova normativa all’interno del Titolo V della Costituzione, ovvero nel sistema di riparto tra Stato e Regioni delle competenze normative in materia: la sicurezza del lavoro rientra nel campo della competenza concorrente, in cui la potestà legislativa spetta alla Regione nel rispetto dei principi posti dall’ordinamento statuale.

In tale ambito le disposizioni del T.U. sono espressamente qualificate come principi fondamentali della materia (art. 117, co. 3 Cost.), in coerenza con i quali le Regioni possono legiferare.

Il TU, invece, trova diretta applicazione in tutti i casi in cui manchi una specifica normativa regionale; in ogni caso esso, nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato, definisce l’insieme «… dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, co. 2 lett. m, Cost.), anche per l’eventuale esercizio dei poteri sostituitivi di cui all’art. 120, co. 2, Cost. nel caso in cui si tratti di preservare « la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (art. 120, co. 2 Cost.).

 

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