I mutamenti provvisori dei requisiti di vecchiaia. Il decreto n. 503 del 1992, oltre a procedere nel senso dell’unificazione del sistema, a parte la giuri­sdizione della corte dei conti per le pensioni statali ed equiparate, ha agito, per quanto riguarda la pen­sione di vecchiaia, sui due requisiti, quello dell’età anagrafica, che è stata portata per tutti da 60 a 65 anni, e quello dell’anzianità contributiva, che è stata elevata da 15  a 20 anni.

     Le critiche rivolte a tali innovazioni sono sta­te nel senso che il decreto n. 503 del 1992 avrebbe stabilito un’età rigida, mentre il pensionamento potrebbe avvenire in età diverse per le esigenze dei singoli la­voratori.

Critiche all’anzianità contributiva. Per quanto riguarda l’ele­vamento dell’anzianità contributiva si è osservato che 20 anni è un’anzia­nità eccessiva, la più alta in Europa, con conseguente esclusione dalla pen­sione di vaste categorie di lavoratori considerando che molti iniziano l’at­tività in tarda età e con lavori precari che non assicurano la continuità del­la contribuzione.

Il regime definitivo. La L.335/1995 ha stabilito, ma soltanto per i rapporti che sono iniziati o iniziano dopo l’entrata in vi­gore della stessa legge un’età elastica a partire dai 57 anni ed un’anzianità contributiva di 5 anni, purché sia rag­giunto l’importo minimo pensionistico.

La pensione di vecchiaia per i rapporti antecedenti il 31.12.95. Per i rapporti già iniziati all’entrata in vigore della L. 335/1995 valgono i requi­siti fissati dal decreto n.503 del 1992, e successive modifiche, oramai de­finitivi essendo compiuto il periodo transitorio nel quale si è avuta un’ap­plicazione graduale della normativa introdotta dal decreto del 1992.

       I due requisiti della pensione sono quello dell’età di 65 anni e dell’anzianità contributiva di 20.

L’età di 65 anni può essere ridotta a 60, su libera scelta delle interessate, per le sole donne nel settore privato, cui è riconosciuta la relativa opzione. Per alcune categorie è prevista un’età superiore, come i 70 anni per i magistrati ed i professori universitari. Per tutti i dipendenti pubblici vi è poi la possibilità di prolungare di altri due anni l’età pensionabile. Per alcune categorie di lavoratori è prevista un’età inferiore, come per i lavoratori nel settore dei trasporti e della navigazione o, nel settore pub­blico, per gli appartenenti alle forze armate o alle forze di polizia.

Per quanto riguarda l’anzianità contributiva in essa sono compresi i contributi obbligatori, i contributi figurativi – per i periodi di sospensione del rapporto, disoccupazione, cassa integrazione, indennità di mobilità, su richiesta servizio militare -, i contributi volonta­ri, i periodi di riscatto, come per gli anni di studio e di laurea, con la pos­sibilità della ricongiunzione dei periodi contributivi maturati in diverse gestioni. Calcoli speciali dell’an­zianità di servizio sono previste per alcune categorie di lavoratori, come quelli addetti a lavori usuranti, o i lavoratori che siano stati esposti all’a­mianto per un periodo superiore a dieci anni, purché ancora in servizio, come i titolari di assegno d’invalidità.

La pensione di anzianità

I due tipi. La pensione di anzianità, che era stata portata dal decreto 503 del 1992 per tutti i lavoratori con 8 anni di anzianità a 35 anni di con­tribuzione, con la L.335/1995 è stata suddivisa in due tipi: il primo basato sul solo requisito dell’anzianità contributiva di 40 anni, il secondo su due requisiti, quello dell’anzianità contributiva fissa di 35 anni e quello dell’e­tà anagrafica di 57 anni.

I requisiti nella fase transitoria. Nel periodo transitorio, fino al 2008, l’anzianità come requisito unico non è quella di 40 anni, ma di 37 anni. Per il secondo tipo, fermo restando l’anzianità contributiva di 35 anni, l’età è attualmente di 56 anni per il settore privato e di 55 anni per il setto­re pubblico.

       Nell’anzianità contributiva rientrano i contributi figurativi per mater­nità, cariche elettive, anche sindacali, cassa integrazione, periodo d’inden­nità di mobilità.

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