La definizione del lavoro nell’impresa. L’art. 2094 cc. dà la definizione di lavoratore subordinato dalla quale si può desumere quella di contratto di lavoro subordinato. È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale e manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Per interpretazione estensiva si rileva, anzitutto, che pur facendo la disposizione riferimento al lavoro nell’impresa, essa si estende anche ai rapporti di lavoro che non siano inerenti all’ esercizio di un’impresa, secondo quanto espressamente sancito dall’art. 2239 cc.
Il significato della collaborazione. Il riferimento alla collaborazione nell’impresa sembrerebbe collegato con la concezione corporativa della funzionalizzazione dell’impresa al superiore interesse della produzione nazionale; venuta meno la rilevanza di tale interesse, si potrebbe sostenere un’abrogazione del riferimento alla collaborazione, che evoca comunque il carattere comunitario che gli attuali rapporti di lavoro non hanno.
Si osserva, comunque, da parte della dottrina che la disposizione in esame fa riferimento alla collaborazione non all’impresa, che si concilia con la concezione comunitaria del rapporto, ma nell’impresa; in tal senso la collaborazione avrebbe il significato dell’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale.
Lavoro intellettuale e manuale. La disposizione fa riferimento anche alla prestazione di lavoro intellettuale o manuale; secondo il tradizionale modo d’intendere il lavoro intellettuale viene identificato con il lavoro impiegatizio, mentre il lavoro manuale viene identificato con il lavoro operaio.
Tale distinzione è superata in considerazione del fatto che oggi il lavoro operaio, specializzato o qualificato, può presentare l’esigenza di conoscenze anche teoriche superiori a quelle richieste per l’attività impiegatizia. Tuttavia, se anche la distinzione fosse quella tradizionale, il riferimento ad essa da parte dell’art. 2094 cc. ha perso ogni rilevanza in quanto può ritenersi con certezza che il lavoro impiegatizio, anche a seguito della legge sull’impiego privato (r.d.l. 1825/1924), sia anch’esso, come peraltro lo stesso lavoro dirigenziale, subordinato.
L’esercizio di professioni come lavoro subordinato. Il riferimento al lavoro intellettuale può assumere piuttosto rilevanza come elemento normativo dal quale si desume l’ammissibilità che nel contratto di lavoro subordinato venga dedotta, con le caratteristiche della subordinazione, una professione intellettuale, per l’esercizio della quale sia necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2229 cc.).
Anche il compimento di opere o di servizi. La considerazione ci consente di affermare che non è il tipo di attività che può qualificare come subordinato o autonomo il rapporto; qualificazione che dipende dalle modalità di svolgimento della prestazione. Può essere lavoro subordinato anche il compimento di un’opera o di un servizio, come la custodia, il trasporto, il mandato, ecc., purché lo svolgimento dell’attività avvenga alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.
Dipendenza e direzione. I due concetti non sono equivalenti, non potendosi ritenere che il legislatore abbia usato due termini diversi con eguale significato.
Il concetto di dipendenza economica. Per comprendere il significato di dipendenza si può far riferimento al concetto di subordinazione economica per la quale s’intende l’alienità del lavoratore subordinato rispetto al risultato per il quale viene svolta la prestazione di lavoro e rispetto ai mezzi di produzione. Se il lavoratore partecipa al risultato della sua prestazione, ricorre un’ipotesi di lavoro associato o partecipativo. L’alienità del lavoratore rispetto ai mezzi di produzione significa che il lavoratore svolge la stessa servendosi dell’organizzazione predisposta dal datore di lavoro, derivandone il carattere strettamente personale della prestazione subordinata.
La relatività del concetto. La natura strettamente personale deve essere intesa in termini relativi, nel senso che essa non viene meno nel caso di uso di strumenti di lavoro di scarsa importanza rispetto al lavoro, come nel caso del motorino per il pony express, degli strumenti del disch-jokey o della macchina personale per il commesso viaggiatore, con le spese a carico del datore di lavoro.
La natura infungibile della prestazione. La prestazione di lavoro è anche infungibile; si tratta non di un’infungibilità di tipo soggettivo, come la prestazione dell’artista, ma di un’infungibilità oggettiva, che deriva proprio dal fatto che la prestazione si svolge nell’organizzazione predisposta dal datore e deve rispondere alle esigenze della stessa e alle quali il prestatore deve adeguarsi nel primo periodo, normalmente di prova, di svolgimento della prestazione. Da ciò ne consegue l’inammissibilità nel rapporto di lavoro dell’adempimento da parte di un terzo.
Il datore esercita il potere di coordinamento spaziale e temporale; la prestazione si svolge nel luogo predisposto dal datore e di sua appartenenza e nel periodo della giornata deciso dallo stesso datore, nei limiti, dell’orario massimo stabilito dalla legge e dai contratti collettivi. Anche quando la prestazione si svolge fuori dal luogo del datore, come nel caso del propagandista farmaceutico, del camionista, ecc., il coordinamento spaziale e temporale non viene meno, in quanto comunque la sede dal datore di lavoro è il punto di riferimento per l’inizio dell’attività, che deve svolgersi secondo i percorsi e gli orari rispondenti alle esigenze organizzative del datore.
L’eventuale carattere personale del lavoro autonomo. La natura strettamente personale della prestazione di lavoro, ma non il carattere dell’infungibilità, potrebbe caratterizzare anche il lavoro autonomo con possibile inserimento nell’organizzazione del committente, e conseguente esercizio, da parte di questi, del potere di coordinamento spaziale e temporale.
La direzione come elemento qualificante. Deve dunque escludersi che sia la dipendenza economica, nel senso inteso, l’elemento che valga a qualificare il lavoro subordinato rispetto al lavoro autonomo, specie parasubordinato. Ne consegue la rilevanza, ai fini della qualificazione della direzione.
Mentre il lavoratore autonomo è libero di dirigere la propria prestazione, purché la stessa consenta di realizzare l’opera o il servizio cui il lavoratore autonomo si è impegnato, il lavoratore subordinato, assoggettato alla direzione del datore, è eterodiretto e, quindi, non può svolgere la prestazione che attenendosi in senso stretto agli ordini impartiti dal datore di lavoro, purché tecnicamente adeguati e non illeciti.
A volte il datore di lavoro non impartisce ordini perché gli stessi non sono necessari, come nel caso del dirigente ad alto livello. Ne consegue che l’elemento indispensabile ai fini della qualificazione del rapporto non è tanto l’assoggettamento al potere direttivo del datore, quanto l’assoggettabilità; se il dirigente svolge la sua attività attenendosi alle direttive impartite una tantum dal consiglio di amministrazione della società dalla quale dipende, ciò non significa che lo stesso consiglio di amministrazione non possa cambiare in qualsiasi momento le direttive, con l’obbligo del dirigente di adeguarsi.
Anche secondo la giurisprudenza la soggezione al potere direttivo è il requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato; le modalità della soggezione dipendono dal tipo di prestazione lavorativa e di organizzazione aziendale, anche se ogni attività economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo.
Sfasatura tra fattispecie ed effetti. Precisata la fattispecie di lavoro subordinato in considerazione dell’ elemento qualificante, occorre aggiungere che la stessa potrebbe non essere sufficiente al fine dell’individuazione degli effetti, ossia delle norme da applicare a tutela del prestatore. Ed infatti la fattispecie è molto ampia tanto da comprendere ipotesi tra di loro eterogenee con l’ammissibilità di effetti differenziati.
Al dirigente non si applicano la legge sull’orario di lavoro, quella sulla stabilità del posto di lavoro ed altre ancora. Il dipendente di una piccola unità produttiva può avvalersi della stabilità obbligatoria, tutela debole, non di quella reale, tutela forte, del posto di lavoro. Ne consegue che dopo avere stabilito che un determinato rapporto presenta la natura della subordinazione occorre andare alla ricerca di altri elementi con riferimento ai quali potrebbe variare il regime degli effetti, ossia lo statuto di tutela da applicare a quel rapporto.
Esigenze di mutamento della fattispecie. Da parte di molti si pone l’esigenza di criteri diversi d’individuazione della fattispecie di lavoro subordinato, eventualmente partendo da una fattispecie unica e semplice, quella del lavoro senza aggettivazione, per poi individuare il grado di debolezza economica cui adeguare l’intensità della tutela sia lavoristica che previdenziale.