L’art. 2103, c.c., novellato dall’art. 13 dello Statuto dei lavoratori, al co. I, prima parte, testualmente recita: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione”. Tale disposizione limita il c.d. jus variandi, ossia il potere unilaterale del datore (a differenza dei normali contratti modificabili per mutuo consenso) di modificare le mansioni del lavoratore, il quale, oltre che alle mansioni per le quali è stato assunto, può essere adibito soltanto:

a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, con pari retribuzione (c.d. mobilità orizzontale): il concetto di equivalenza va inteso in senso professionale, nel senso cioè che le nuove mansioni non devono modificare in peggio il corredo di esperienza, nozioni e perizia, acquisito dal prestatore nell’effettivo svolgimento delle precedenti mansioni;

ovvero a mansioni superiori (c.d. mobilità verticale): in questo caso, il prestatore ha diritto al trattamento economico e normativo corrispondente all’attività svolta, mentre l’assegnazione alle mansioni superiori diventa definitiva, ove non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi.

È di regola esclusa la mobilità verso il basso, salvo i seguenti casi:

esigenze straordinarie sopravvenute (in buona fede)

lavoratrici madri devono essere adibite a mansioni non pregiudicanti la loro salute

per riduzione di personale, qualora un accordo sindacale lo preveda

per sopravvenuta inabilità del prestatore (malattia o infortunio).

L’art. 2103, ult. co., c.c., prevede espressamente che “ogni patto contrario è nullo”. Si tratta di un’ipotesi di nullità testuale che determina l’inefficacia di ogni modificazione in peius delle mansioni del prestatore (o dequalificazione), con attribuzione a quest’ultimo del diritto alla restituzione delle mansioni originarie o equivalenti ovvero, in alternativa, al risarcimento del danno causato alla sua professionalità.

 

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