A seconda del vizio del licenziamento e delle dimensioni del datore di lavoro, la legge prevede tutele differenziate. Tali tutele possono essere raggruppate in 5 categorie, che, convenzionalmente, definiamo:

a) tutela reale, quando è prevista la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento del danno (senza un limite massimo predefinito);

b) tutela reale attenuata, quando è prevista la reintegrazione, ma il risarcimento del danno è limitato nel suo importo massimo;

c) tutela risarcitoria, quando è previsto esclusivamente un risarcimento di cui la legge determina importo minimo e importo massimo;

d) tutela risarcitoria ridotta, quando è previsto esclusivamente un risarcimento il cui importo minimo e massimo è determinato dalla legge in misura inferiore a quello della tutela risarcitoria;

e) tutela obbligatoria, quando la legge prevede che il datore di lavoro possa optare tra la riassunzione del lavoratore o la corresponsione di una indennità (ipotesi applicabile solo per i datori di lavoro di dimensioni minori).

La tutela più forte ed incisiva è riservata ai casi in cui il giudice dichiari la nullità del licenziamento o la sua inefficacia perché intimato in forma orale, “quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”. Il legislatore richiama espressamente alcune specifiche ipotesi di nullità: il licenziamento discriminatorio (per ragioni politiche, sindacali, religiose o legate alla razza, alla lingua, al sesso, ad handicap, all’età, all’orientamento sessuale o alle convinzioni personali); il licenziamento intimato in concomitanza con il matrimonio o durante il periodo in cui è vietato il licenziamento della lavoratrice madre e del lavoratore padre.

Inoltre, con opportuna formula di chiusura, viene fatto riferimento anche “ad altri casi di nullità previsti dalla legge”, nonché al licenziamento provocato da un motivo illecito “determinante” ai sensi dell’articolo 1345 del Codice Civile. Il giudice può dichiarare la nullità del licenziamento “indipendentemente dal motivo formalmente addotto”, essendo, in effetti, improbabile che il datore di lavoro possa porre esplicitamente a fondamento del licenziamento una ragione discriminatoria o riconducibile ad altre ipotesi di nullità.

L’onere di provare la sussistenza del motivo di nullità spetta al lavoratore, che può assolverlo anche avvalendosi dei principi generali in tema di presunzioni e delle agevolazioni probatoria previste da specifiche disposizioni di legge. Al licenziamento nullo è equiparato il licenziamento inefficace perché intimato in forma orale.

Invece, il licenziamento inefficace per mancata specificazione dei motivi è ora sanzionato in modo diverso e notevolmente meno severo. In tutte le ipotesi di licenziamento nullo, o intimato oralmente, anche nel caso del rapporto di lavoro dirigenziale, la tutela predisposta dal legislatore non è sostanzialmente dissimile da quella, cosiddetta “reale”. La novità più rilevante è costituita dal fatto che la nuova disciplina si applica anche ai datori di lavoro di piccole dimensioni, nei confronti dei quali, in precedenza, le conseguenze della nullità del licenziamento e dell’inefficacia del licenziamento erano regolate dal diritto comune.

 

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