Mentre il rapporto di lavoro privato è finalizzato al soddisfacimento delle esigenze dell’impresa, il rapporto di lavoro tradizionalmente definito “di pubblico impiego” è finalizzato al perseguimento degli interessi pubblici, la cui cura è demandata alle pubbliche amministrazioni: “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. Questo determina decisive conseguenze in ordine alle differenze che dall’origine contraddistinguono i due tipi di rapporto.

Occorre infatti ricordare che “l’iniziativa economica privata è libera”, e, quindi, il datore di lavoro privato, nella gestione dell’impresa, è assoggettato solo ad un limite negativo, che consiste nel divieto di svolgere la sua attività “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Il rapporto alle dipendenze della pubblica amministrazione è invece caratterizzato dalla particolare natura dei poteri, ma correlativamente anche dei vincoli, che fanno capo al datore di lavoro pubblico.

Proprio perché la pubblica amministrazione è tenuta a perseguire esclusivamente finalità di pubblico interesse, il suo agire non è libero, bensì funzionalizzato, in quanto “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. La disciplina del rapporto alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è sempre stata caratterizzata anche, e soprattutto, dalla esigenza di far sì che entrambe le parti del rapporto (sia il datore di lavoro che il lavoratore) conformassero i propri comportamenti al raggiungimento delle finalità di pubblico interesse previste dalla legge. Di qui, la scelta di assoggettare l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni al regime del diritto pubblico, regolando e gestendo i rapporti di lavoro mediante provvedimenti amministrativi e non atti di diritto comune.

Il modello del rapporto di pubblico impiego è entrato in crisi essenzialmente per due ragioni. Da un lato, la progressiva estensione del campo di azione della pubblica amministrazione ha determinato un considerevole incremento del personale pubblico. Dall’altro lato, sulla scia della teoria di ispirazione anglosassone del cd. “new public management”, si è fatta strada l’idea che il regime di diritto pubblico sia causa di rigidità e di complessità tali da ostacolare quelle esigenze di efficienza e di efficacia ritenute proprie della cultura aziendale.

In coincidenza con l’approssimarsi di importanti scadenze comunitarie, e con la necessità di riforme strutturali che esse imponevano, è stato, così, avviato il processo cosiddetto della “privatizzazione” del pubblico impiego, che ha fatto sì che fosse emanato un “testo unico per il pubblico impiego”, fatto subito oggetto di modifiche. I rapporti di lavoro “privatizzati” sono quelli che intercorrono con amministrazioni dello Stato, ivi compreso il personale delle scuole, aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti territoriali, università, istituti autonomi, case popolari, camere di commercio, enti pubblici non economici, servizio sanitario nazionale, agenzie governative.

Sono, però, escluse alcune categorie di dipendenti il cui rapporto resta integralmente regolato dal diritto pubblico: magistrati, avvocati dello stato, professori e ricercatori universitari, personale militare e delle forze di polizia, della carriera diplomatica e prefettizia, vigili del fuoco e personale dirigenziale penitenziario, nonché degli enti che svolgono le loro attività in materia di tutela del risparmio, funzione creditizia e valutaria, tutela della concorrenza e del mercato. La privatizzazione, però, ha dato luogo ad una lievitazione dei costi della macchina amministrativa senza un corrispondente aumento di efficienza dei servizi prestati.

Così, è stata emanata una nuova “riforma organica” finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, che ha innovato profondamente sia la disciplina delle relazioni sindacali, che quella del rapporto di lavoro, in particolare per quanto riguarda la dirigenza, la valutazione delle performance e le sanzioni disciplinari. Il rapporto dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni resta, quindi, uno dei più delicati punti di tensione dell’evoluzione del diritto del lavoro. Da ultimo, la legge 124 del 2015 ha conferito ampie deleghe al Governo che prevedono una ulteriore, incisiva, “riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

 

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