La definizione di <<diritto del lavoro>> è piuttosto problematica. Tale disciplina, infatti, a dispetto della sua apparente genericità, si occupa solo di alcune forme di attività lavorativa (lavoro subordinato/ dipendente e lavoro autonomo/ professionale). Altre forme, al contrario, vengono completamente tralasciate (es. imprenditore, lavoro casalingo).

La disciplina lavoristica nasce come reazione agli sconvolgimenti sociali creati dalla Rivoluzione industriale, e si sviluppa parallelamente al sindacalismo dei lavoratori, un movimento volto a spostare la regolamentazione dei rapporti di lavoro dal piano individuale a quello collettivo. Poiché le imprese industriali dell’Ottocento si servivano prevalentemente di lavoratori subordinati, l’azione del sindacalismo elesse a principali beneficiari questa stessa categoria di lavoratori. Il diritto del lavoro, quindi, almeno in prima approssimazione, può essere definito come la normativa che regola la principale tra le forme giuridiche nelle quali è possibile prestare un’attività lavorativa, vale a dire, il rapporto di lavoro subordinato.

Anche il lavoro autonomo, tuttavia, tradizionalmente non contemplato, è poi divenuto beneficiario dell’applicazione mirata di alcune norme lavoristiche, dimostrazione questa dell’effettivo allargamento applicativo del diritto del lavoro (da diritto del lavoro a diritto <<dei lavori>>).

Il diritto del lavoro, tradizionalmente, si ripartisce in due categorie, caratterizzate da interrelazioni e intersezioni continue:

  • diritto del lavoro in senso stretto, inteso come il diritto del rapporto individuale di lavoro subordinato e, almeno in parte, autonomo.
  • diritto sindacale, inteso come il diritto dei rapporti collettivi (es. sindacati).

In questa seconda categoria rientra anche il contratto collettivo, che, data la sua importanza fondamentale, viene percepito come la <<legge>> del singolo settore e del singolo rapporto.

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