L’estensione del diritto del lavoro al pubblico impiego

Attualmente si assiste ad una profonda trasformazione del diritto del lavoro.

La privatizzazione del pubblico impiego. Anzitutto, l’estensione ri­guarda il pubblico impiego. Nel passato il pubblico impiego era inserito nel diritto amministrativo: si riteneva che il pubblico dipen­dente fosse assorbito nella pubblica amministrazione, come una compo­nente essenziale dei pubblici uffici.

In Italia; a partire dal 1993, il pubblico impiego è stato privatizzato, con la conseguenza che l’amministrazione, pur conservando la natura pubblicistica, nei rapporti con i propri dipen­denti agisce uti privatus come un qualsiasi altro datore, sia pure con di­sposizioni in parte speciali.

Categorie escluse. Conservano natura pubblicistica soltanto i rapporti con alcune categorie di lavoratori, quelli addetti ad attività collegate con funzioni costituzionali (riferimento ai magistrati, agli ap­partenenti alle forze armate, di polizia, al corpo diplomatico, ecc). La natu­ra pubblicistica di tali rapporti comporta la devoluzione al giudice ammi­nistrativo delle relative controversie, mentre quelle relative ai rapporti privatizzati appartengono oramai alla giurisdizione del lavoro.

Mutamento del prototipo e trasformazioni del diritto del lavoro

Flessibilità e contratti atipici di lavoro subordinato. Se nel passato la figura tipica del lavoratore subordinato era il lavoratore a tempo pieno ed a tempo in­determinato, secondo il prototipo collegato con il modo tayloristico e fordistico della produzione, oggi vanno sempre più diffondendosi le for­me di lavoro precario, quali il contratto a termine, a part time, di forma­zione e lavoro, il lavoro interinale, che rappresentano i contratti atipici ri­chiesti dalle esigenze aziendali di flessibilità nell’impiego della mano d’o­pera. Queste forme, che certamente segnano una riduzione delle garanzie a tutela dei lavoratori occupati, insiders, costituiscono tuttavia il modo per aumentare l’occupazione e si pongono quindi, ma soltanto sotto questo a­spetto, a tutela dei lavoratori disoccupati o outsiders.

Il lavoro autonomo coordinato e continuativo o parasubordinato. Nel lavoro flessibile rientrano non soltanto i contratti atipici di lavoro subor­dinato, ma anche i contratti di lavoro continuativo e coordinato, ai quali i soggetti che si avvalgono di lavoro altrui si rivolgono soprattutto quando non sia possibile stipulare un contratto atipico di lavoro subordinato. In ogni caso è consistente la ten­denza a nascondere un vero e proprio lavoro subordinato dietro un con­tratto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato. Le ragioni di tale camuffamento consistono nel fatto che la tutela riservata ai lavoratori au­tonomi, anche continuativi e coordinati, è minima.

Il lavoro senza aggettivazioni e la graduazione della tutela. Si assiste alla trasformazione della stessa fattispecie tipica del diritto del lavoro che non dovrebbe più essere il lavoro subordinato, con soggezione al potere direttivo del datore, ma il lavoro senza aggettivazioni, con forme di tutela che si adeguino al grado di dipen­denza economica. In ogni caso, alla tutela nei confronti del datore o committente, dovrebbe aggiungersi una più appropriata tutela previdenziale, ancora oggi ancorata al prototipo del lavoratore subordinato a tempo pieno ed a tempo indeterminato, con la garanzia della stabilità del posto di lavoro.

Mutamento della funzione del diritto del lavoro. Il lavoro flessibile,anche autonomo, per molti aspetti precario, ha comportato una trasfor­mazione della funzione del diritto del lavoro, in quanto essa consiste non soltanto nella protezione dell’integrità fisica, morale ed economica del la­voratore, ma anche nel sostegno del lavoratore sul mercato del lavoro. Tale funzione di sostegno avviene mediante servizi pubblici consisten­ti nell’informazione e nell’orientamento, nella formazione professionale ed in attività dirette ad incentivare la mobilità territoriale e professionale.

Necessità di mantenere l’inderogabilità in peius. La riduzione della tu­tela nei confronti del datore non può tuttavia giungere fino all’eliminazio­ne dell’inderogabilità in peius di tale normativa. Il lavoratore, infatti, nella maggioranza dei casi, non è in grado di nego­ziare direttamente con il datore le condizioni di lavoro, con la conseguenza che le stesse sarebbero determinate in modo unilaterale dal datore di lavoro. Occorre, anzi, estendere l’inderogabilità anche alle norme a tutela del lavoratore autonomo coordinato e continuativo che si trova, spesso, in una condizione di dipendenza economica non inferiore a quella del lavoratore subordinato.

Eliminazione di situazioni di privilegio. Può essere soltanto opportu­no eliminare alcune situazioni di privilegio, come è, ancora adesso, l’istituto della cassa integrazione, specie straordinaria, nel caso di contrazione dell’ attività aziendale. Non dovrebbe, viceversa, cadere la disciplina del licenziamento, anche nella tutela reale, imperniata sulla reintegrazione nel posto di lavo­ro.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento