La “privatizzazione del pubblico impiego” è una formula che ha avuto notevole successo e diffusione, ma, per la sua concisione, non è sufficiente a descrivere i principi e gli effetti che ne sono il fondamento. E ne è prova il fatto che i diversi interventi legislativi che si sono succeduti esprimono una diversa concezione della “privatizzazione”. Nella sostanza, allo stato attuale, si può affermare che il tratto di collegamento è rappresentato dal fatto che, salvi gli atti di “macroorganizzazione” (che restano espressione di un potere pubblicistico, il cui esercizio è vincolato nello scopo e sottoposto al corrispondente sistema di controlli), tutte “le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”.
Tuttavia, l’esercizio di tali poteri risulta vincolato da una fitta rete di disposizioni speciali, le quali dettano indicazioni in ordine ai principi e criteri da seguire, o ai fini da perseguire, o a regole procedurali da rispettare, compresi in taluni casi l’imposizione di oneri di istruttoria e motivazione. Così che, se è troppo severo il giudizio di chi ritiene che la privatizzazione del pubblico impiego sia sostanzialmente fittizia, si deve anche riconoscere che essa non ha certamente comportato una effettiva unificazione dei modelli di gestione dei rapporti di lavoro.
Né, al riguardo, assume un particolare rilievo il fatto che la costituzione del rapporto di lavoro pubblico sia stata ricollegata, come nel lavoro privato, ad un contratto. Nelle pubbliche amministrazioni, infatti, continua a trovare applicazione il principio, peculiare e distintivo, in base al quale la scelta del contraente non è libera, bensì è rimessa ad un rigido procedimento di “reclutamento”. La disciplina del rapporto è dettata da fonti eteronome (legge e contratto collettivo).
Inoltre, nel rapporto tra tali fonti, lo spazio lasciato all’autonomia collettiva è sensibilmente più ridotto di quello che essa occupa nella regolamentazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di privati datori di lavoro. Infine, va ricordato che, per il datore di lavoro pubblico, l’esercizio dell’autonomia negoziale soggiace ad un ulteriore limite di portata generale, che è rappresentato dall’obbligo di parità di trattamento, che non è invece configurabile nel rapporto di lavoro privato.
Dall’esame di diverse disposizioni si evince che non è individuabile alcun istituto del rapporto di lavoro (dalla costituzione allo svolgimento ed all’estinzione) nel quale la specialità indotta dalla matrice pubblicistica non prevalga in modo decisivo sulle disposizioni del rapporto di lavoro privato. Basti considerare che “l’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” non solo ha propri “principi generali”, ma si è dotato di una specifica disciplina che regola la materia della “organizzazione”, comprensiva di “relazioni con il pubblico”, “dirigenza”, “uffici, piante organiche, mobilità e accessi”, la “contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale” e gli elementi essenziali del “rapporto di lavoro”, ivi compresi mansioni e potere disciplinare.
È significativo che anche dopo l’avvenuta “privatizzazione” le più importanti leggi sul rapporto di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro privati escludono dal loro campo di applicazione il lavoro pubblico, o comunque fanno rinvio ad un apposito intervento di “armonizzazione” così smentendo, nei fatti, la dichiarata intenzione di applicare ad entrambi i rapporti “condizioni uniformi”. Anche il decreto legislativo 81 del 2015 non prevede, ne presuppone, la generale riconduzione nel suo campo di applicazione del pubblico impiego.
Al contrario, prevede specifiche disposizioni per stabilire, di volta in volta, se il pubblico impiego è incluso o escluso dalla loro applicazione, oppure detta i limiti e le modalità con cui l’inclusione è eventualmente prevista. Per una visione completa dello stato attuale, è da segnalare la tendenza ad interventi di sia pur parziale “ripubblicizzazione” dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle società costituite e controllate dalle pubbliche amministrazioni proprio al fine di svolgere determinate attività con i più agili strumenti del diritto privato. Ed infatti, mentre è in atto una più generale rimeditazione dell’utilizzo di tale strumento, le esigenze di trasparenza e di controllo della spesa pubblica hanno portato ad estendere a tali società obblighi e limiti analoghi a quelli previsti nel rapporto di lavoro pubblico, con particolare riguardo alla materia delle assunzioni.